Selezione Quotidiana di Articoli Vari

Terremoto a Bruxelles!


Media, Mogherini fermata in indagine su Seae

(ANSA) – BRUXELLES, 02 DIC – Federica Mogherini, l’ex Alta rappresentante dell’Ue e attuale rettrice del Collegio d’Europa è tra le persone fermate nell’ambito dell’indagine che ha visto scattare questa mattina delle perquisizioni al Servizio per l’azione esterna dell’Ue (Seae) e il Collegio d’Europa a Bruges. Lo riporta Le Soir.

Ue: media, in stato di fermo anche Stefano Sannino

 (AGI) -Oltre a Federica Mogherini risulta in stato di fermo per l’indagine su frode in appalti pubblici anche Stefano Sannino, ex segretario generale del Servizio europeo di azione esterna e attuale direttore generale della Dg Mediterraneo della Commissione europea. Lo riporta il quotidiano belga Le Soir. La terza persona fermata sarebbe un manager del Collegio d’Europa.

Perquisizioni a servizio diplomatico Ue a Bruxelles, 3 fermi

(ANSA) – BRUXELLES, 02 DIC – La polizia federale belga ha effettuato perquisizioni nella sede del Servizio europeo per l’azione esterna (Eeas) a Bruxelles, al Collegio d’Europa di Bruges e in alcune abitazioni private nell’ambito di un’inchiesta su un presunto uso improprio di fondi Ue. Lo riportano fonti vicine all’indagine citate da Euractiv.

Le operazioni sono scattate all’alba, con il sequestro di documenti e tre fermi per interrogatori con l’ipotesi di frode negli appalti pubblici, corruzione e conflitto di interessi di natura penale. Secondo un testimone, una decina di agenti in borghese sono entrati nella sede dell’Eeas intorno alle 7:30.

L’inchiesta riguarda il presunto utilizzo irregolare di fondi Ue da parte dell’EEAS e del Collegio d’Europa nel 2021 e 2022, incluso l’appalto per finanziare la nuova Accademia diplomatica europea, un programma annuale di formazione per diplomatici finanziato dal Servizio diplomatico Ue e ospitato a Bruges. Gli investigatori stanno verificando se il Collegio d’Europa o suoi rappresentanti avessero avuto accesso anticipato a informazioni riservate sulla gara d’appalto.

Il fascicolo si concentra anche sull’acquisto da 3,2 milioni di euro di un edificio a Bruges nel 2022 da parte del Collegio — struttura destinata a ospitare i partecipanti dell’Accademia — poco prima che l’Eeas bandisse una gara successivamente aggiudicata al Collegio per 654.000 euro di finanziamento. All’operazione ha preso parte anche l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf), sotto il coordinamento della Procura europea (Eppo).

La vicenda accresce la pressione sul Collegio d’Europa e sulla sua rettrice Federica Mogherini, già Alto rappresentante Ue per la politica estera, oggi anche direttrice della nuova Accademia diplomatica.

ESCLUSIVA: LA POLIZIA FA IRRUZIONE AL SERVIZIO PER L’AZIONE ESTERNA DELL’UE E AL COLLEGIO D’EUROPA IN UN’INDAGINE SU UNA FRODE DI VASTA PORTATA

(Eddy Wax e Elisa Braun – euractiv.com) – La polizia belga ha perquisito martedì il servizio diplomatico dell’UE a Bruxelles, insieme al Collegio d’Europa a Bruges e abitazioni private, nell’ambito di un’indagine su presunto uso improprio di fondi dell’UE, secondo persone a conoscenza dell’inchiesta e testimoni.

Le perquisizioni si sono svolte in tutto il Belgio nelle prime ore del mattino, con la polizia che ha sequestrato documenti e arrestato tre persone per interrogarle con il sospetto di frode negli appalti, corruzione e conflitto di interessi di natura penale.

Circa dieci agenti in borghese sono entrati nella sede del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE / EEAS) alle 7:30 di martedì, ha detto un testimone. Un altro funzionario dell’UE del servizio diplomatico ha confermato la perquisizione.

L’indagine è scaturita dalle accuse secondo cui il SEAE e il Collegio d’Europa — la prestigiosa scuola post-laurea di formazione per eurocrati — avrebbero usato impropriamente denaro pubblico dell’UE nel 2021 e 2022, secondo quattro persone a conoscenza dell’inchiesta.

Gli investigatori stanno esaminando se il Collegio d’Europa o i suoi rappresentanti avessero conoscenza anticipata di un appalto pubblico per finanziare la nuova Accademia diplomatica dell’UE, un programma annuale di formazione per diplomatici europei a Bruges finanziato dal SEAE.

[…] Gli investigatori si sono concentrati sulle circostanze che circondano l’acquisto da parte del Collegio di un edificio in Spanjaardstraat a Bruges, del valore di 3,2 milioni di euro, che ospita i diplomatici che frequentano l’accademia, secondo le quattro persone informate sui fatti. Il bando per ospitare l’accademia richiedeva ai candidati di fornire alloggi.

Il Collegio d’Europa ha acquistato l’edificio nel 2022 durante un periodo di difficoltà finanziarie e poco prima che il SEAE pubblicasse un bando che successivamente ha assegnato all’istituzione un finanziamento di 654.000 euro, hanno detto due persone informate sull’inchiesta.

Gli investigatori hanno esaminato le accuse secondo cui il Collegio d’Europa e i suoi rappresentanti avrebbero avuto accesso a informazioni riservate sull’appalto, che avrebbero dovuto rimanere confidenziali per garantire una concorrenza equa tra le istituzioni candidate a ospitare la nuova accademia.

Il Collegio d’Europa e la nuova Accademia diplomatica dell’UE sono entrambi guidati da Mogherini, l’ex ministra degli Esteri italiana socialista, che ha guidato il SEAE come Alto rappresentante per gli affari esteri tra il 2014 e il 2019. È diventata rettrice del Collegio nel 2020 e direttrice dell’accademia al suo lancio nel 2022.

Durante il periodo sotto esame, il SEAE era guidato da un altro ex ministro degli Esteri socialista, lo spagnolo Josep Borrell.

Un portavoce di Borrell non era immediatamente disponibile per un commento.

Un portavoce del Collegio d’Europa ha rifiutato di commentare. Un portavoce del SEAE ha detto di non avere informazioni.

La Procura federale del Belgio nelle Fiandre non ha risposto immediatamente.


Il Ministero del Turismo riconosce il Cammino Medievale (Alto Molise)


Il Ministero del Turismo riconosce il Cammino Medievale

Percorso ad anello di 160 km da Isernia a Isernia per l’alto Molise

Il turismo lento è una risorsa vitale per il Molise. Il Ministero del Turismo ha riconosciuto la valenza del Cammino Medievale, un cammino giovane, ma dal cuore antico attraversando 18 borghi dove sono presenti testimonianze che affondano le radici nella notte dei tempi. Il filo conduttore, naturalmente è il Medioevo, un periodo in cui tante piccole realtà iniziarono a forgiarsi e diventare dei centri di aggregazione. Un’anima che è tuttora visibile passo dopo passo.

Il Ministero del Turismo, in considerazione della sua valenza ed importanza, non solo lo ha riconosciuto, ma anche inserito a buon diritto nel Catalogo dei Cammini Religiosi Italiani. Questo perché il Cammino Medievale racchiude in sé storia e anche religiosità. Non a caso, si possono vedere da vicino e visitare luoghi intrisi di intensa sacralità, come il suggestivo Eremo di San Luca, tra Capracotta e Poscopennataro e poi ancora: il Santuario Santa Maria di Loreto di Capracotta, la Grotta di San Michele a Sant’Angelo in Grotte, la Chiesa di Maiella di Agnone, la Chiesa di San Michele a Sant’Elena Sannita, la Cattedrale di Isernia e tanto altro ancora.

È per noi motivo di grande soddisfazione che il Ministero abbia attestato il valore di questo Cammino che noi stessi, con massima attenzione, studio e passione abbiamo tracciato e scritto una minuziosa guida cartacea – sottolineano i suoi autori e responsabili, i giornalisti Fosca Colli, anche Consigliere Comunale a Sant’Elena Sannita, e Marco Baroni, marito e moglie da oltre trent’anni -. Una doppia soddisfazione, visto che 3 anni fa un’altra nostra creatura, il Cammino di Sant’Elena (in 3 tappe in Alto Molise, da Sant’Elena Sannita ad Agnone) era stato riconosciuto dal Ministero del Turismo, primo in assoluto in Molise”.

Il Cammino Medievale, come poc’anzi ricordato, è giovane essendo stato avviato nel luglio scorso, ma già sta riscuotendo il forte interesse degli amanti del turismo lento. C’è chi lo ha già percorso e tanti sono già coloro – di ogni parte d’Italia – che stanno chiedendo informazioni per farlo a partire dalla primavera del 2026, tenendo conto che, essendo un itinerario montano soggetto anche a forti nevicate (si fa tappa anche a Capracotta e si passa per Prato Gentile, tra l’altro) potrebbe essere problematico per chi va a piedi o anche in bicicletta. Il Cammino Medievale si può fare liberamente in completa autonomia quando si preferisce. Si articola in 8 tappe ed è un percorso ad anello di 160 km che parte da Isernia per poi tornare a Isernia.

Le 8 tappe che, partendo da Isernia, sono: Carovilli, Capracotta, Agnone, Pietrabbondante, Civitanova del Sannio, Sant’Elena Sannita, Sant’Angelo in Grotte e ritorno a Isernia. Si passa anche per altri 11 borghi che sono Miranda, Vastogirardi, Pescopennataro, Castelverrino, Chiauci, Duronia, Cerreto (frazione di Frosolone), Macchiagodena, Castelpetroso, Carpinone e Pesche.

Sul sito web www.camminomedievale.altervista.org ci sono tutte le informazioni di contatto e di base sul Cammino stesso comprese quelle sulla Guida e sulla Credenziale.

UFFICIO STAMPA


Il redde rationem


(Andrea Zhok) – Oggi è stata ufficializzata la notizia della presa di Pokrovsk da parte dell’esercito russo e simultaneamente la conquista di Volchansk.

Nell’ultimo mese l’esercito russo ha conquistato 505 kmq di territorio, che per un paese grande come l’Ucraina è ancora poco, ma che segnala una chiara progressione rispetto al periodo precedente.

L’onnipresenza dei droni rende le rapide avanzate con carri armati ed autoblindi impossibili, ma questo rende anche le conquiste fatte più resistenti ad eventuali contrattacchi.

I segnali di un declino delle capacità operative ucraine al fronte sono evidenti, e tuttavia i segni di una fine rapida del conflitto sono controversi.

Dal fronte alcuni comandanti ucraini hanno inviato a Zelenski la comunicazione che, in caso di sua firma di un accordo che comporti il ritiro dal Donbass, essi non obbediranno.

Naturalmente in una guerra moderna questo è più un gesto che un’effettiva prospettiva di resistenza ad oltranza: se dovessero venir meno, per decisione centrale, i rifornimenti, il fronte collasserebbe in poche settimane.

Così come collasserebbe se gli USA ritirassero, come hanno minacciato di fare a più riprese, la fornitura di informazioni satellitari e di intelligence.

Dunque, alla fine, al netto degli elementi nazionalisti più radicali presenti nelle forze armate ucraine, la decisione se continuare la guerra o accettare una sconfitta ancora onorevole sta ancora tutta nel decisore politico.

Tutto lascia pensare che il conflitto russo-ucraino sia alle battute finali; plausibilmente tra primavera ed estate ne vedremo la conclusione formale.

Ma questa conclusione, e questo è il grande problema che avremo da affrontare, non sarà davvero una chiusura.

Ciò che ci si prospetta è l’alleanza strutturale di lungo periodo tra il residuo di forze armate radicalizzate ucraine e il bellicismo europeo.

In Ucraina gli elementi nazionalisti radicalizzati prenderanno qualunque trattato di pace come la loro versione della leggenda della “pugnalata alla schiena” (Dolchstosslegende) che animò i reduci tedeschi dopo la Prima Guerra Mondiale. La narrazione che la guerra non venne perduta sul campo, ma per il tradimento della politica nelle retrovie, fu all’origine di quei movimenti paramilitari nella Germania degli anni venti che confluirono nelle Sturm Abteilungen e nutrirono l’ascesa del partito nazista.

Al tempo stesso, le dirigenze europee, se da un lato sanno di non essere in grado realisticamente di affrontare un confronto bellico diretto con Mosca, non possono considerare la pace come un’opzione. Vale per le von der Leyen e le Kallas il “Finché c’è guerra c’è speranza”, come titolava un celebre film di Alberto Sordi. Finché rimane in vita la demenziale narrativa “c’è-un-aggressore-e-un-aggredito-non-avevamo-scelta” tutta la catastrofica condotta delle classi dirigenti europee può evitare di giungere ad un redde rationem.

Per questo motivo la prospettiva che ci attende è quella di una guerra ibrida permanente, in cui i paramilitari ucraini forniranno parte della manovalanza, e l’Europa fornirà i mezzi tecnologici ed economici. Dunque sabotaggi, atti terroristici, guerra informatica, ecc., tutti atti soggetti alla “plausible deniability”, tutti eventi spesso indistinguibili da accidentali malfunzionamenti ordinari, che ci spingeranno in una temperie di guerra senza bombardamenti ma di lungo periodo. Ovviamente spero nessuno si illuda che sarà solo l’Europa a tagliuzzare la Russia attraverso l’Ucraina, restandosene in sicurezza senza subire risposte.

Questo sarà, temo, il punto di caduta naturale della presente situazione, con una spinta ulteriore al sequestro di risorse pubbliche per finanziare le industrie parabelliche degli amici degli amici, e con un’ulteriore compressione di tutte le residue libertà di parole, pensiero ed espressione sul suolo europeo.

La minaccia russa diventerà un ritornello permanente, e nel nome delle supreme istanze della difesa il sogno bagnato del neoliberalismo si realizzerà nella sua purezza: una società di schiavi, militarizzati nella mente e nel portafoglio, a beneficio dei nuovi feudatari della finanza.

La storia non è mai scritta, ma possiede tendenze inerziali.

Se non ci si oppone frontalmente, queste tendenze nel prossimo futuro ci saranno fatali.


A Tajani repetita iuvant


A Tajani repetita iuvant

(di Antonio Pitoni – lanotiziagiornale.it) – Mentre a Miami, la delegazione di Zelensky discute con gli americani la delicata questione dei confini, punto chiave e tra i più controversi della trattativa di pace, sembra ormai evidente a tutti che non sia più il se, quanto piuttosto il quando, la vera incognita che separa il governo di Kiev dalla firma del Piano di Trump. In altre parole, dalla resa dell’Ucraina – e dalla disfatta dell’Europa e della Nato – alla Russia.

Non c’è da sorprendersi, d’altra parte, se i sedicenti leader Ue, con i vertici del Patto atlantico (esclusi gli Usa), stiano cercando in tutti i modi di gettare benzina sul fuoco. Finché c’è guerra, per loro, c’è ancora speranza. Sempre meglio che giustificare ai propri elettori la fallimentare scommessa sulla vittoria dell’Ucraina oltre al folle – e già impopolare – piano di riarmo che, se scoppiasse davvero la pace, non saprebbero più come giustificare. Ieri, per dire, è toccato al capo di Stato maggiore italiano, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, in veste di presidente del Comitato militare della Nato, tenere alta la tensione. “Stiamo studiando tutto sul fronte informatico, siamo in un certo senso reattivi – ha detto, intervistato dal Financial Times. Essere più aggressivi o proattivi invece che reattivi è qualcosa a cui stiamo pensando”. Usando espressioni come “attacco preventivo” che potrebbe però essere considerato “un’azione difensiva”.

Un ossimoro che non è sfuggito al Cremlino: “Riteniamo che la dichiarazione di Cavo Dragone sui potenziali attacchi preventivi contro la Russia sia un passo estremamente irresponsabile, che dimostra la volontà dell’alleanza di continuare a muoversi verso un’escalation”. Insomma, l’ennesimo tentativo di sabotare i negoziati di pace in corso. Ma derubricato come “una questione che deve seguire la Nato” e che “non tocca a noi”, dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. Ma sarebbe appena il caso di ricordargli che, accettando il suo ruolo di governo, ha giurato sulla Costituzione italiana e non sul Trattato dell’Alleanza Atlantica.

La stessa Costituzione che, all’articolo 11, stabilisce che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa e di risoluzione delle controversie internazionali”. Dovrebbe saperlo da solo. Ma con il ministro del diritto internazionale che “conta fino a un certo punto” repetita iuvant.


Il filo che collega attacchi alla magistratura e più scorta a Ranucci: controllo in cambio di sicurezza


Dalla magistratura all’università: gli attacchi del Governo Meloni e la sorveglianza come nuovo strumento di controllo

(Davide Mattiello – ilfattoquotidiano.it) – C’è un filo che lega gli attacchi alla magistratura, i più recenti di nuovo a Federico Cafiero De Raho e a Roberto Scarpinato, quelli alla Università di Bologna col pubblicizzato potenziamento della scorta a Sigfrido Ranucci: il “nuovo” patto sociale promosso dalla destra di potere, ovvero il pieno controllo nelle mani del Governo in cambio della sicurezza prodotta dalla sorveglianza.

Sono lontani i tempi del Papeete: Matteo Salvini nell’estate del 2019, in groppa alla sua “bestia” da milioni di contatti, sbagliò tempi, modi, sponsor e finì disarcionato. Ma fu precursore e gli andò senz’altro meglio che al Battista.

Oggi la situazione è più matura, resa convincente e vincente (per ora) da un contesto internazionale che spinge per la liquidazione dello stato di diritto, per il collasso della Unione Europea, malfermo presidio di democrazia ma pur sempre presidio, per l’annichilimento delle Nazioni Unite basate sui diritti umani fondamentali: tutti attrezzi mai digeriti da una parte importante di umanità e corrosi dall’ipocrita sostegno di altra parte.

Oggi viviamo uno di quei tornanti in cui la storia accelera improvvisamente, quando in un solo momento i freni saltano, le titubanze diventano appuntamenti imperdibili col destino, le parole sussurrate in segreto vengono gridate sui tetti e diventano osceni manifesti (“omicidi extragiudiziali” si può dire e fare, “genocidio” invece si può fare ma non dire).

Così tutto si tiene nel cortile di casa nostra che non è mai stato soltanto “nostro”: il “riequilibrio tra i poteri” invocato dalla presidente Meloni passa per la subalternità della magistratura all’esecutivo, il premierato forte, una legge elettorale funzionale alla “stabilità” mantra buono per ogni scorribanda istituzionale e la mortificazione della scuola in ogni ordine e grado, dagli accorpamenti degradanti alla umiliazione della autonomia didattica.

Il primo tassello deve essere fissato attraverso il referendum di primavera che dovrà confermare, nelle intenzioni del Governo, la “riforma Nordio” ed ecco che allora il circo grande delle reti unificate spara senza sosta contro i magistrati trasformati in mostri dell’arbitrio giudiziario: c’è quello che sabota le politiche del Governo in tema di immigrazione, quello che “ruba” i figli dalle case nei boschi, quello che si vende la funzione anche davanti ad un terribile femminicidio, fino ad arrivare ai “mostri” preferiti perché ingabbiarli serve a più di un prestigio e cioè Federico Cafiero De Raho, accusato di aver coperto l’immondo mercato delle informazioni riservate nella Procura nazionale antimafia da lui diretta e Roberto Scarpinato, accusato di aver perseguitato una giovane ed intrepida magistrata rea di aver indagato nella direzione “sbagliata” (Scarpinato ha già annunciato querela).

Un altro tassello poi è stato piantato negli scorsi giorni con la iperbolica polemica contro l’Università di Bologna che avrebbe addirittura “tradito”, secondo le reazioni da manuale dei primi della classe Meloni-Crosetto-Bernini, coloro che sacrificando le proprie vite difendono anche quegli imbelli di docenti, che hanno negato un corso ad hoc in filosofia per una pattuglia di ufficiali. Ingrati!

Sono attacchi mirati che offendono la democrazia tanto quanto quelli ai giornalisti, colpiti nell’esercizio della professione in maniera più pericolosa di quanto abbiano fatto gli sciagurati assaltatori della sede de La Stampa a Torino: chi ha illegalmente spiato Francesco Cancellato e Ciro Pellegrino con strumenti di natura militare in dotazione al Governo italiano? Chi e perché ha pedinato Sigfrido Ranucci e altri suoi collaboratori di Report?

E mentre chili di “carte riservate” passano nelle cucine della Commissione parlamentare antimafia e del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza, pronti a diventare relazioni e veline, il Viminale annuncia l’innalzamento del livello di sicurezza per Sigfrido Ranucci, che passa da una a due macchine blindate. Con un messaggio chiaro: state alla larga da Ranucci! (Fonti comprese, vien da pensare).

Qualche giorno fa a Bologna si sono dati appuntamento per un convegno molti famigliari di vittime delle stragi di mafia e di terrorismo, pare che non abbiano nemmeno più distinto tra coloro che sono caduti per colpa della “strategia della tensione” e coloro che invece sono caduti per colpa delle bombe “mafiose” degli anni ‘90 (che della “strategia della tensione” hanno rappresentato una sorta di tragico Tfr: trattamento di fine rapporto). Lo hanno fatto per ribadire l’universale diritto alla verità.

Mi associo, convinto che la sicurezza alla quale ognuno di noi giustamente ambisce dipenda assai di più dalla “verità” cioè dalla lotta alla impunità, piuttosto che dalla sorveglianza occhiuta di chi, proteggendo, controlla e inibisce.


Per Piantedosi l’Università di Bologna ha negato il diritto allo studio a 15 militari: ministro, mi vergogno di Lei


Mi auguro fortemente che l’Università di Bologna La quereli per le Sue dichiarazioni false e infamanti

(Massimo Ferri, Professore, Università di Bologna – ilfattoquotidiano.it) – Non volevo credere a quanto riportato dal Fatto Quotidiano, perciò sono andato direttamente alla Sua pagina Facebook, Ministro Piantedosi, per controllare. Ebbene sì, Lei scrive: “Una decisione incomprensibile quella di alcuni professori dell’Università di Bologna che hanno negato a un gruppo selezionato di 15 giovani Ufficiali dell’Esercito dell’Accademia di Modena la possibilità di frequentare un corso di laurea in Filosofia, nel timore di una presunta ‘militarizzazione dell’Ateneo’.”

E ancora: “Infine, a questi professori e ai sostenitori di tale scelta voglio ricordare che gli Ufficiali a cui è stato negato il diritto allo studio hanno giurato sulla Costituzione […]”.

Ma scherziamo? “Negata la possibilità di frequentare un corso di laurea in Filosofia”? “Negato il diritto allo studio”? Vede, Ministro Piantedosi, la Presidente del Consiglio sta (quasi) sempre molto attenta nel dosare le parole. L’ha fatto anche questa volta, dicendo chiaramente quello che è successo (la mancata istituzione di un Corso di Laurea ad hoc) e commentandolo dal suo punto di vista.

Come tutti i politici di destra, sinistra e centro di ogni tempo, l’On. Meloni è un’artista nel dichiarare la parte di verità che torna utile alle sue tesi; come tutti i politici intelligenti, riesce perciò a plasmare la realtà a suo vantaggio, senza dire vere e proprie bugie.

Quello che Lei ha scritto, e che ognuno può verificare di persona, è una scandalosa bugia, pura e semplice. Non sono sempre d’accordo con la gestione dell’Ateneo di Bologna, di cui mi onoro ancora di far parte; proprio negli ultimi tempi, certe decisioni mi hanno fortemente contrariato. D’altra parte capisco le remore, da parte del Dipartimento interessato, a istituire un Corso di Laurea su misura per una ristrettissima classe di cittadini. Tutte cose di cui si può discutere. Ma a nessuno viene negata la possibilità di frequentare un corso di laurea, a nessuno è negato il diritto allo studio.

Mi auguro fortemente che l’Università di Bologna La quereli per le Sue dichiarazioni false e infamanti. Come Ufficiale di complemento in congedo, fiero di esserlo, e come Professore dell’Alma Mater, fiero di esserlo, mi vergogno di Lei.


La vittoria di Putin e la svolta epocale


(Tommaso Merlo) – La tragicomica banda della Nato non sa vincere e neanche perdere, in guerra le condizioni le impongono i vincitori e cioè Putin. Quello che la Russia vuole in Ucraina si sa, ma la partita potrebbe essere più ampia e per questo Putin sta ancora trattando con gli americani. La Russia da sola ha demilitarizzato la Nato che oggi non ha né armi né eserciti per contrastarla. Un momento favorevole e da sfruttare prima che si riarmi. Gli unici che potrebbero dare dei grattacapi ai russi oggi sono gli americani che però hanno la Cina nel mirino e nessun interesse a rischiare la scontro nucleare per la palta ucraina. È vero che a Washington persistono sacche di russofobi che stanno sabotando Trump, ma oltre al mandare soldi ed armi a Kiev non vogliono spingersi neanche loro. A Putin non conviene fermarsi quindi, i barboncini europei sfrutterebbero il cessate il fuoco per riorganizzarsi e rilanciare. Piuttosto che ammettere la sconfitta sono disposti a sacrificare quel poco che rimane dell’Ucraina. La poltrona prima di tutto, anche della vita altrui. Alla Russia conviene conquistare gli ultimi brandelli di oblast rimasti ed imporre a Kiev la neutralità militare e poi passare alla firma delle scartoffie. Anche il mega scandalo di corruzione della banda Zelensky, gioca a favore di Putin che vuole giustamente un cambio di regime. A Kiev serve un governo in grado non solo di accettare la sconfitta militare ma anche quella politica e riallacciare relazioni sane col vicino russo. Ed è quello che vuole anche la maggioranza degli ucraini superstiti. Ma c’è di più. Se Putin ancora tratta con gli americani, è perché vorrebbe sfruttare Trump per uscire dall’isolamento, del resto un presidente americano non russofobo è una rarità. Non è che Putin ne abbia bisogno, con Cina ed India e gli altri Brics la luna di miele è solo all’inizio, ma normalizzare relazioni diplomatiche e commerciali con gli USA sarebbe comunque un traguardo storico e vantaggioso, dividerebbe poi ulteriormente il fronte occidentale ed umilierebbe ulteriormente quello che per la Russia è il nemico più efferato, quegli stramaledetti barboncini europei intossicati di delirante bellicismo russofobo. Una situazione non rosea per noi poveri cristi del vecchio continente. Se non reagiamo, la lobby della guerra o meglio della morte, ci trascinerà dritti verso la terza guerra mondiale. Siamo in balia di quel baraccone della Nato fondato per difenderci e finito per dissanguarci e trascinarci in guerre ridicole e perdenti una dopo l’altra. Coi governi nazionali ridotti a bancomat per produrre armamenti e a breve reclutatori di carne da macello. Stanno trasformando il mondo in un sanguinario videogioco e ormai questioni come la guerra e quindi di vita e di morte per i popoli, vengono decise da verminai lobbistici dietro le quinte e dai loro burattini politici e tecnocratici. La poltrona prima di tutto, anche della volontà popolare. Siamo sempre più vecchi, sempre più poveri, sempre di meno, mollati dagli americani e in guerra col nostro storico vicino russo, nonché fonte energetica primaria. Senza una visione né politica, né economica, in balia di una politica ridotta a poltronificio fine a se stesso. A marketing elettorale di vuoto esistenziale. Una situazione davvero poco rosea, al punto che quello che conviene a Putin conviene anche a noi. La storica e clamorosa sconfitta militare della Nato in Ucraina, potrebbe causare un terremoto istituzionale a Bruxelles di tale magnitudo da far crollare quell’insulso baraccone tecnocratico, e alimentare uno sdegno popolare tale da alimentare una svolta politica epocale in tutto il continente. Cestinando depravazioni lobbistiche e belliciste per ritrovare la strada della vera democrazia, della vera sovranità popolare e dalla pace bene assoluto che nessun politicante poltronaro si deve permettere di intaccare. Già, la speranza è che vinca Putin e puri in maniera netta e rapida in modo da girare pagina per sempre. Se invece non sarà così e prevarrà il sistema, la lobby della guerra o meglio della morte ed i suoi burattini, ci trascinerà dritti verso la terza guerra mondiale.


Destra salva-lobby: balneari e petrolieri graziati dalla riforma


Emendamento di Fratelli d’Italia nella legge in esame alla Camera: esenzione ad hoc per Confindustria e sindacati. Così i gruppi di interessi più potenti saranno esclusi dal registro sulla trasparenza

(Stefano Iannaccone – editorialedomani.it) – Trasparenza, ma fino a un certo punto. Perché tutti lobbisti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.

In caso di approvazione definitiva, la legge sulle lobby in esame alla Camera non sarà infatti applicata a varie categorie: dai balneari ai produttori di farmaci, fino ai rappresentanti dell’industria fossile. Eludendo la ratio della riforma che vuole tracciare l’attività dei legislatori, a qualsiasi livello, con i portatori di interessi.

Basta essere parte delle grandi confederazioni, come Confindustria e Confcommercio, per poter incontrare ministri, sottosegretari, parlamentari e assessori regionali senza lasciare segni. Stesso discorso varrà per i sindacati alla ricerca di interlocutori istituzionali.

Un colpo di biliardo magistrale: un’operazione di lobbying ha cambiato i connotati alla legge sulle lobby. Peraltro con il ripristino del vecchio difetto della norma sulla rappresentanza di interessi: prevedere deroghe specifiche.

Destra compatta

Il contenuto del provvedimento, che nelle prossime settimane dovrebbe approdare in aula a Montecitorio (e poi essere trasmesso al Senato per l’eventuale via libera definitivo) è stato annacquato da due emendamenti approvati nel corso dell’esame in commissione Affari costituzionali alla Camera.

La destra si è presentata compatta con una proposta depositata dal deputato di Fratelli d’Italia, Alessandro Urzì, e sottoscritta da tutti i colleghi dei partiti di maggioranza. L’altro testo, uguale, è stato firmato dell’ex ministra Maria Elena Boschi (Italia viva). Il risultato è un allargamento delle maglie con l’inserimento di ampie zone grigie rispetto al principio di trasparenza più stringente introdotto nella prima formulazione del testo base.

La modifica prevede che un’ampia platea di organizzazioni di categoria non avrà l’obbligo di iscrizione nell’apposito registro unico, che sarà istituito al Cnel, soppiantando tutti i registri ora vigenti. Lo scopo è appunto quello di documentare e rendere consultabile gli incontri (e i relativi temi) tra portatori di interessi e legislatori, ponendo fine all’attuale far west.

Gli emendamenti fanno peraltro un riferimento generico alle «associazione datoriali e dei lavoratori». La vaghezza della definizione lascia intendere che praticamente tutte le realtà dei singoli settori – iscritte a Confindustria o altre confederazioni – possano aggirare l’obbligo di iscrizione al registro. E ai conseguenti adempimenti della normativa.

Tra le varie organizzazioni ci sono Assobalneari, “il sindacato” dei balneari, lobby amica del governo, l’Anpam, che unisce i produttori di armi, e l’Unione energie per la mobilità (Unem), che rappresenta anche le aziende operanti nella distribuzione dei prodotti petroliferi.

Ma sono solo alcune categorie inevitabilmente toccate dall’iter delle leggi in parlamento, perché per estensione la questione può riguardare anche Confcommercio, Confesercenti, Ance e tante altre.

Un’esenzione di massa, dunque, che fornisce un canale privilegiato. «L’emendamento sulle esclusioni renderebbe inservibile la legge», dice a Domani Federico Anghelé, direttore di The good lobby, che coordina la coalizione #Lobbying4Change, da anni in prima linea per arrivare a una legge nel settore.

Sono palesi gli squilibri innescati dalle modifiche votate in commissione Affari costituzionali a Montecitorio. Il direttore di The good lobby le spiega così: «Per fare un esempio, un’organizzazione ambientalista dovrebbe iscriversi al registro e rendere conto delle proprie attività di lobbying, mentre l’associazione di categoria dei petrolieri non dovrebbe farlo. Questo sarebbe giocare ad armi pari?».

Legge svuotata

Una falsa partenza nel percorso della proposta di legge, firmata da Nazario Pagano (Forza Italia), presidente della commissione Affari costituzionali alla Camera, che ha avviato un’indagine conoscitiva per raccogliere i pareri degli esperti e arrivare a un testo condiviso tra le forze politiche.

Dopo decine e decine di proposte finite nel vuoto nelle precedenti legislature, il deputato forzista ha cercato la strada del dialogo per evitare che la riforma finisse su un binario morto. Ora le modifiche parlamentari rischiano di provocare un cortocircuito o far approvare una legge svuotata, che presenta gli stessi problemi denunciati negli anni scorsi.

Ci sono stati poi altri interventi su misura di altre categorie: potranno esercitare il ruolo di lobbisti anche i giornalisti, alimentando la contaminazione tra portatori di interessi ed esperti di comunicazione.

Una sovrapposizione di ruoli sempre più pressante che aveva portato Pagano a evitare che gli iscritti all’ordine dei giornalisti potessero iscriversi al registro dei lobbisti. In questo caso emendamenti bipartisan, da FdI ai Cinque stelle, hanno cancellato la norma, salvando il ruolo del giornalista-lobbista.

Il punto resta comunque l’esenzione alle associazioni datoriali e ai sindacati. L’appello per il passo indietro sugli emendamenti Urzì e Boschi è stato lanciato anche da Ferpi e Una, altre due realtà a favore di una puntuale regolamentazione dei rapporti tra legislatori e portatori di interessi. «Riteniamo che il testo vada cambiato, in aula alla Camera o al Senato. Sappiamo benissimo che sindacati e associazioni datoriali contribuiscono massicciamente a influenzare i processi legislativi», sottolinea Anghelé.

Insomma, fatta la legge (o quasi), trovata la deroga.


Mangia, scala, cresce. L’ottavo Re di Roma al suo ultimo negozio


Carriera. Prima il cemento poi l’editoria, adesso la finanza (col sogno Generali che durava da vent’anni): ascesa di Caltariccone tra le classifiche di Forbes e il buco nero del sequestro di moglie e guardia del corpo

(di Pino Corrias – ilfattoquotidiano.it) – Francesco Gaetano Caltagirone è personaggio imponente per spalle, cravatta, sguardo e naturalmente per il suo personale forziere di monete antiche e modernissime, sesterzi da collezione e euro da paperone, appena inciampato nell’inchiesta della Procura di Milano per avere scalato i forzieri di Mediobanca – dice l’accusa – ostacolando tutti gli organi di controllo. Lo ha fatto con i suoi soci, il numero uno di Luxottica, Francesco Milleri, e l’amministratore delegato di Monte dei Paschi di Siena, Luigi Lovaglio. Ma specialmente con l’accordo – “la complicità” dicono gli analisti – degli gnomi di Palazzo Chigi, rivestiti, profumati e pettinati da Giorgia Meloni che a forza di prendersi sul serio, s’è incapricciata dell’alta finanza, come suo personale upgrade dal complesso dell’under-dog. Dunque assecondando un nodo psichiatrico prima che politico. Rivelando smanie da potere assoluto, per fortuna affidate a strateghi di second’ordine, pasticciati e pasticcioni, anche loro per troppo entusiasmo nel servire e troppa bulimia nell’addentare.

Tutti difetti che neanche lontanamente sfiorano il poderoso Caltagirone, 82 anni saldamente compiuti, che guarda dall’alto il suo ultimissimo negozio – incamerare, proprio attraverso Mediobanca, Assicurazioni Generali, quasi 900 miliardi di patrimonio gestito, il principale arrosto dell’economia italiana – con la lentezza digestiva che gli consente il potere accumulato per dinastia, insignito, dal secolo scorso, del titolo di Ottavo Re di Roma, o meglio ancora Caltariccone, secondo la più efficace istantanea firmata Dagospia, visto che la rivista Forbes lo stima numero 7 per ricchezza in Italia, patrimonio di 9,6 miliardi, liquidità illimitata.

La sua famiglia viene dalla lontanissima Palermo, sbarcata nel Dopoguerra tra le macerie della Capitale con sabbia, piccone e calcestruzzo. Lui è terza generazione, la più ricca di sempre. Non più palazzinaro, come il nonno, il babbo, e l’altro ramo di famiglia, i Bellavista, che furono tutti quanti cari a Giulio Andreotti, all’intera Democrazia cristiana e pure al Vaticano, massimo esperto spirituale del do ut des terreno, artefici del sacco cementizio che ha trasformato i silenzi vegetali dell’Agro Romano negli ingorghi automobilistici della periferia che dalla Bufalotta a Tor Pagnotta, da Casal Boccone alla Romanina, assedia gli asfalti del Raccordo in un inferno di tangenziali, svincoli, palazzi da otto piani, ma con un albero a testa.

Il suo quartier generale si estende tra i marmi pregiati di Roma centro, via del Corso, piazza Barberini, via Nazionale. Da dove ha elaborato le notevoli stazioni della sua perpetua ascesa – prima cemento, poi carta stampata, ora finanza – in compagnia del suo factotum Fabio Corsico, 52 anni, un tizio capace d’alte raffinatezze lessicali, come alla sua ultima prolusione all’Università di Segovia dal titolo “Dante e la leadership: etica potere e umanità”, qualunque cosa voglia dire.

Dal tonfo sonante di Mani Pulite, anno 1992, Caltagirone ne esce con qualche ammaccatura, ma la piena assoluzione da tutte le accuse di nequizie o tangenti. Saluta senza rancori la Prima Repubblica democratico-cristiana per infilarsi nella Seconda ben più spregiudicata di Berlusconi e soci. Stavolta con la buona idea di proteggere gli interessi delle sue cento aziende, specialmente la prima, la Cementir che ha interessi in Italia, in Europa e pure negli Usa, nei fortini della carta stampata, dove si coltivano i piccoli poteri locali per farli diventare grandi. Nel 1996 compra il Messaggero, giornale leader di Roma Capitale. Negli anni successivi, il Gazzettino di Venezia, il Quotidiano di Puglia, il Corriere Adriatico e nel 1998 il Mattino di Napoli. Dove compra, costruisce. Dove costruisce, comanda. E qualche volta la fa franca, come nella guerra dichiarata al sindaco Luigi De Magistris che nel 2013 avrebbe voluto accollargli la bonifica dell’area di Bagnoli inquinata anche dalla Cementir, costo stimato 300 milioni di euro, tutti passati in cavalleria, dieci anni dopo, quando Caltariccone gratuitamente dona i suoi terreni a Invitalia, che pagherà quei danni ambientali con i soldi del Tesoro, cioè i nostri. Un capolavoro.

L’altra intuizione, visto che va diminuendo la spesa pubblica per le costruzioni, è quelle di diversificare gli investimenti in titoli e asset finanziari. Senza mai troppi clamori, fa shopping azionari in Banca Nazionale dell’Agricoltura, Montedison, Bnl, Rcs, Unicredit. Partecipa a Acea, azienda energetica di Roma e gestisce Fabrica, la holding che ha in pancia gli immobili delle casse previdenziali di avvocati, ingegneri, architetti, psicologi. Oltre che a 17 fondi di investimento che mettono palazzi in cascina per conto di investitori istituzionali, compreso l’Inps. Senza mai il fastidio di una intervista o quasi – al Financial Times una volta e a Lilli Gruber negli ultimi anni – Caltagirone mangia, scala, cresce. Ha piazzato i tre figli sulle torri di controllo del suo castello, compresa Azzurra, la preferita, che per qualche anno si è lasciata conquistare dal sempre in piedi Pierferdinando Casini, prima di accorgersi dell’errore. Ma il ponte levatoio dei Caltaricconi sale o scende solo al suo comando.

C’è un buco nero che illumina il suo indiscusso potere. Si spalanca nella notte tra il 3 e il 4 agosto dell’anno 2000, quando dalla villa con parco ai Parioli spariscono la moglie Luisa Farinon e la guardia del corpo Walter Scafati. Dopo l’allarme generale si scopre che li ha sequestrati il domestico filippino Leo Begasson, in fuga con i due ostaggi su una Golf rossa. È un maldestro rapimento per il riscatto? È una vendetta? Sembra il classico giallo destinato durare l’intera estate. Invece si chiude in una manciata d’ore. E in modo sorprendente: i due rapiti vengono rilasciati dalle parti di Trieste, se la cavano chiedendo aiuto. Il rapitore viene ritrovato morto stecchito in una camera d’albergo di Portorose, la 399 del Palace Hotel, pochi chilometri dopo il confine con la Slovenia. Abbastanza affinché nulla trapeli delle indagini che parlano di una irruzione della polizia slovena interrotta dal suicidio del fuggitivo. L’ambasciata filippina sospetta l’omicidio, protesta e chiede spiegazioni. La polizia italiana invece si accontenta del nulla. La Procura di Roma archivia. Proprio come i giornali che dedicano tre righe al giallo, prima di dimenticarsene per sempre. Calta incassa e neanche ringrazia. Anche lui, come il campione di Machiavelli, preferisce essere più temuto che amato. Oggi festeggia la conquista di Generali. È da vent’anni il suo sogno. Vedremo se dio o la procura, gli faranno il dispetto di esaudirlo.


Senza pace. L’Ue perde, ma non vuole che la guerra sparisca dall’orizzonte


L’Unione europea continua a investire nella guerra in Ucraina per alimentarla dall’esterno il più possibile. Eppure, è debolissima. Sul piano militare, l’Unione europea è una […]

(di Alessandro Orsini – ilfattoquotidiano.it) – L’Unione europea continua a investire nella guerra in Ucraina per alimentarla dall’esterno il più possibile. Eppure, è debolissima. Sul piano militare, l’Unione europea è una nullità rispetto alla Russia. Sul piano economico è un colosso, ma le mancano le risorse essenziali per una guerra esistenziale: gas e petrolio. Inoltre, l’Unione europea non può difendersi dai missili più avanzati della Russia. Di più: la Russia ha 5500 testate nucleari mentre l’Unione europea ne ha soltanto 290, quelle della Francia (che userebbe soltanto per se stessa). Come se non bastasse, i cittadini dell’Unione europea non vogliono combattere alcuna guerra. Gli ucraini, sebbene abbiano subito un’invasione, hanno perso la motivazione per la battaglia e scappano all’estero. Figuriamoci quale voglia di morire al fronte possano avere i 27 popoli dell’Unione europea invasi da nessuno.

La voglia di combattere una guerra tra i cittadini dell’Unione europea è pari a zero. Tutti i cittadini dell’Unione europea sanno che la guerra con la Russia è una guerra per l’ingresso dell’Ucraina nella Nato: non è una guerra nata dai bisogni dei popoli; è una guerra nata dagli errori delle élite politiche, alimentata dagli interessi dei corrotti che si arricchiscono sulla pelle dei caduti. Anche quando Bruxelles avrà terminato il piano di riarmo, le probabilità che l’Unione europea vinca una guerra contro la Russia sono bassissime, o forse inesistenti. Per causare una frattura insanabile tra il governo Meloni e gli italiani, alla Russia basterebbe lanciare cento missili su Roma. Meloni sarebbe politicamente morta al primo lampione fulminato sulla Tuscolana. Crosetto verrebbe odiato come Mussolini a San Lorenzo, il 19 luglio 1943. Di contro, se l’Unione europea lanciasse cento missili su Mosca, l’ardore dei russi aumenterebbe come quello dei romani contro i sanniti di Gaio Ponzio dopo le forche caudine.

Anziché disperarsi, i russi pretenderebbero da Putin una risposta nucleare definitiva. Le bombe dell’Unione europea contro la Russia aumenterebbero la voglia di combattere dei russi e il loro odio nei confronti di Bruxelles. I russi hanno paura di convivere con la Nato in Ucraina; gli europei non hanno alcuna paura di vivere con l’Ucraina fuori dalla Nato. In caso di guerra con la Russia, l’Unione europea sarebbe svantaggiata da un numero smisurato di fattori. Se le cose stanno così, com’è possibile che i principali leader dell’Unione europea siano così determinati a proseguire la guerra contro la Russia? Perché hanno eliminato la garanzia che l’Ucraina non entrerà nella Nato dal loro piano di pace? Le ragioni principali sono due.

La prima è che i leader europei, accettando le condizioni del vincitore, dovrebbero riconoscere la propria sconfitta e rimanere in carica, delegittimati. La seconda ragione è che la guerra in Ucraina serve all’Unione europea a rilanciare la propria economia attraverso l’industria militare. I principali governi europei, Meloni, Macron e Merz, possono accettare un cessate il fuoco in Ucraina, ma non possono accettare che la guerra in Ucraina sparisca dall’orizzonte umano come pericolo potenziale. Per questo motivo, hanno bisogno di un trattato di pace che lasci irrisolti i problemi principali. Hanno bisogno di lasciare aperte le porte della Nato all’Ucraina, affinché gli europei vivano sempre nella paura di una ripresa della guerra con la Russia. Meloni, Macron e Merz hanno legato le loro poltrone a una guerra che non potrebbero mai vincere.


I fiori e i cannoni


(di MICHELE SERRA – repubblica.it) – Suscita polemiche accese una frase di Giuseppe Cavo Dragone, pezzo grosso della Nato, secondo il quale la stessa Nato starebbe valutando se essere “più aggressiva o proattiva invece che reattiva” di fronte al minaccioso attivismo militare di Putin – che ha appena elevato di un bel po’ le spese militari della Russia, ovviamente a scapito del Welfare, e senza dover fare i conti con opposizione alcuna, avendole cancellate tutte, le opposizioni. Sono i comfort delle tirannidi.

Al di là delle strategie militari, delle quali mi intendo come un capodoglio si intende di aviazione, il dibattito è appassionante: con i prepotenti bisogna essere più prepotenti? Con gli intolleranti, più intolleranti? Con gli aggressivi, più aggressivi? Oppure bisognerebbe sperimentate la via opposta, e dunque considerare utili e vincenti le buone maniere? E se le buone maniere fossero puro masochismo (guai a porgere l’altra guancia, quando già ti hanno sfregiato la prima)? E se invece il solo modo di disinnescare l’odio e la guerra fosse mettere in campo le pratiche contrarie e dissonanti, ovvero l’amicizia e la pace? E se la sola contrapposizione evidente al riarmo fosse il disarmo?

Confesso di essere quasi paralizzato dal dubbio. Con una leggera prevalenza, però, del sospetto che per distinguersi da Zacharova (per me l’emblema del nazionalismo energumeno e del bullismo politico), ovvero per essere civili ed europei, sia necessario pensare e agire in maniera differente da Zacharova. Non credo che “mettere dei fiori nei cannoni” sia risolutivo. Potrebbe essere, anzi, autolesionista. Ma sarebbe, almeno, diverso. Diverso rispetto ai millenni precedenti, molto monotoni quanto a egemonia dei cannoni a scapito dei fiori.


Trump bandito, i leader europei stupidi e banditi


Il tormentone di fine d’anno, vedrete, sarà questo: Trump vuole la pace tra Russia e Ucraina perché agisce da cinico mercante e gli importa solo dei soldi, come da scoop […]

(di Daniela Ranieri – ilfattoquotidiano.it) – Il tormentone di fine d’anno, vedrete, sarà questo: Trump vuole la pace tra Russia e Ucraina perché agisce da cinico mercante e gli importa solo dei soldi, come da scoop del Wall Street Journal (e chi lo avrebbe mai detto?), mentre i governanti europei, insufflati degli ideali sull’autodeterminazione dei popoli (tranne che del Donbass, ovvio) e drogati dal Fentanyl Nato che induce allucinazioni sulla superiorità dei “nostri valori” e i “70 anni di pace” nel nostro Continente (a parte Belgrado, certo), tengono agli ucraini, al punto da voler continuare la guerra contro Putin (il quale è talmente messo male a livello militare che tra 3 anni potrebbe attaccarci da Marina di Ragusa, presumibilmente muovendo le sue milizie di stanza in Africa: l’ha detto Tajani; da qui l’urgenza del ponte sullo Stretto).

I tamburi battono guerra: Giuseppe Cavo Dragone, responsabile del Comitato Militare Nato, ha detto al Financial Times che la Nato sta valutando di intensificare la guerra ibrida alla Russia, proprio ora che c’è un piano di pace da cui partire. Ieri Repubblica ha intervistato Carl Bildt, ex premier svedese, oggi a capo di uno di quei think tank dove in comodi uffici climatizzati si decide per quanto ancora un popolo deve agonizzare per difendere i nostri valori: “Trump pensa innanzitutto agli affari che può fare, persino con la Russia, mentre sminuisce la questione della sicurezza in Europa”, denuncia, nel solco di quella narrazione che vuole il “piano Trump” interamente dettato dai russi, i quali in fondo hanno solo vinto la guerra. “La bozza di pace dei cosiddetti 28 punti era assolutamente scandalosa, con l’Europa che avrebbe dovuto finanziare la ricostruzione dell’Ucraina e l’America che si sarebbe presa il 50% dei profitti. Non avevo mai visto niente del genere dagli Stati Uniti. Questo è un nuovo colonialismo”. Veramente si era già visto: a Gaza, dove – con la connivenza di un’Europa inetta e vigliacca – Trump costituirà un protettorato sotto la guida del bugiardo guerrafondaio Tony Blair, pieno di resort di lusso costruiti col concorso dei petrodollari del Golfo sugli scheletri degli innocenti uccisi dalle forze militari israeliane anche con le nostre armi. Ma che importa dei palestinesi? Mica sono pedine da far entrare nella Nato al fine di occupare i confini con la Russia.

Quel che gli oltranzisti della guerra nascondono è che per Trump il gioco è comunque vantaggioso: il complesso militare-industriale Usa gode tanto della guerra che della pace; continuando a foraggiare la guerra Nato in Ucraina, rinnovando le bizzarre sanzioni che hanno fatto fare un balzo al Pil della Russia e hanno scavato un fossato nelle nostre casse e nei nostri arsenali, comprando gas da fonti alternative a un prezzo maggiore di quello russo, con un costo ulteriore per la rigassificazione, non solo dagli Stati Uniti, che quindi ci guadagnano eccome, ma anche da Paesi che non godono della fama di perfette democrazie (Algeria e Qatar su tutti), noi ci diamo la zappa sui piedi mentre permettiamo la decimazione della popolazione ucraina. Naturalmente la materia prima, cioè le armi, le compriamo principalmente dagli Stati Uniti, oppure le produce la nostra Leonardo in joint-venture con la tedesca Rheinmetall, che sta ingrassando il proprio fatturato in vista del grande riarmo della Germania (il Ceo di Leonardo Cingolani si è lavato la coscienza sul Corriere affermando di non avere responsabilità nel genocidio dei palestinesi, pure se una compagnia americana di cui Leonardo è socia di maggioranza possiede Rada, azienda israeliana che fa radar, utilissimi per la guerra ibrida che ci accingiamo a fare alla Russia).

In breve: mentre Trump, facendo un semplice calcolo costi-benefici, si sfila dagli aiuti a Zelensky e alla sua classe dirigente corrotta, noi compriamo armi da lui per mandarle all’Ucraina distrutta, in nome di ideali più alti di quelli che guidano Trump. Ma a ben vedere, sono esattamente gli stessi: non obbediamo da 4 anni agli ordini dei neocon americani perché altrimenti i mercati si agitano? Non badiamo ai nostri guadagni, ignorando la legge che vieta di esportare armi verso Paesi in guerra, quando vendiamo gli F-35 a Israele che li ha usati fino a ieri contro i civili palestinesi? Se non si fosse messo in mezzo Trump coi suoi mediatori immobiliaristi, glieli staremmo ancora mandando. L’ex premier svedese, in coro con le varie Kallas e Von der Leyen, l’ha detto chiaro e tondo: l’Europa “non ha altra scelta: continuare a dare il massimo sostegno all’Ucraina”. Si può essere più stupidi? Secondo le leggi fondamentali della stupidità umana di Carlo M. Cipolla, ricordiamo, lo stupido è colui che fa il male proprio e quello altrui simultaneamente, laddove il bandito fa il proprio bene a scapito degli altri. Trump è un bandito. I nostri governanti sono irrimediabilmente stupidi, ma a volte anche banditi.


Altro che “proattivi”: siamo già in guerra anche senza pretesti


Il capo del Comitato militare, pur usando nell’intervista termini tenui, intende dire: “Attaccare per primi”

(di Fabio Mini – ilfattoquotidiano.it) – Attenendomi alle dichiarazioni pubbliche del Comandante supremo della Nato, generale Cristopher Cavoli e sulla base della conoscenza della sintassi operativa, ho desunto che la Nato non solo in campo cyber, ma in tutti i sensi e domini, è già in guerra contro la Russia e attaccherà per prima. Sta già mobilitando le forze di tutti i Paesi per quella “difesa” che si dovrebbe realizzare con un attacco preventivo sulla Russia talmente devastante da impedirle perfino di rispondere. “Perché – dice Cavoli – se non ci riusciamo al primo colpo, ci aspetteranno 15 anni di guerra di logoramento”.

In quest’ottica è inutile farsi delle illusioni. Qualcuno per conto nostro ha deciso che siamo in guerra e anche contro chi. Perdono così di valore tutti i distinguo di casa nostra e tutte le dichiarazioni ufficiali dei russi che non si sognano nemmeno di attaccare la Nato. A meno che… una decisione già presa nel 2022 e da allora in piena fase di strutturazione delle forze, anche nucleari, perseguita in barba alla fondamentale correzione di rotta imposta dal presidente Trump all’Aja. Al termine del vertice Nato è stato ufficialmente dichiarato che non si considera la Russia una minaccia a breve termine (da ora a 3 anni), nemmeno a medio termine (da 3 a 10 anni) ma, proprio a volercela tirare, a lungo termine (oltre 10 anni). Tale dichiarazione è stata ignorata dai principali alleati e dalla Nato stessa che invece considerano la Russia come nemico permanente. A prescindere da cosa potrà succedere da qui a 3 o 10 anni e anche da ciò che accadrà all’Ucraina. Il Comitato militare è dominato dalle spinte antirusse e il nuovo chairman ha ricevuto dal predecessore il testimone nella staffetta pro armamenti e pro-guerra. Le osservazioni dell’ammiraglio Cavo Dragone, nuovo chairman del Comitato Militare sulla possibilità d’attacco preventivo alla Russia si devono inquadrare in tale contesto. Ovviamente l’ammiraglio non s’è messo la feluca e dichiarato guerra. Anzi s’è mosso molto cautamente su un terreno scivoloso sapendo benissimo che in ambito Comitato Militare, come nel Consiglio Atlantico, non c’è affatto quel consenso necessario a passare da una difesa e una deterrenza a una difesa “proattiva”, che nel linguaggio degli ignari suona bene ma che in quello militare e soprattutto popolare significa solo attaccare per primi, in ogni campo. Sa bene che la guerra ibrida è tale anche perché connette tutte le forme disponibili. L’ambito cyber, al quale si riferisce, non è isolato dagli altri e non è detto che la risposta dell’avversario debba essere dello stesso tipo. I pretesti di guerra sembrano essere scollegati dalla guerra ma finiscono sempre per scatenarla. Il comandante del Maddox (l’unità militare Usa protagonista dell’episodio del Golfo del Tonchino, ndr) che entra nel panico per qualcosa che non è successo non sembra avere l’intenzione di scatenare l’escalation della guerra in Vietnam, ma qualcun altro ci ha pensato da solo. Non aspettava altro. L’esplicitazione dell’Ammiraglio ancorché moderata diventa tuttavia funzionale alla guerra già in corso e alla postura militare che la Nato ha già assunto. “Dovremmo agire in modo più aggressivo del nostro avversario”. Anche se sul piatto ci sono “questioni di quadro giuridico, di giurisdizione: chi lo farà?”. Già, quale organizzazione o nazione s’incaricherà d’attaccare per prima? E in ragione di quale minaccia concreta? E se il nemico ce l’avessimo in casa? La Nato sta facendo un gran baccano per presunti attacchi russi cyber, droni e sabotaggi. Tutte cose uscite dal manuale delle giovani marmotte anglo-ucraine. Cavo Dragone cita il successo dell’operazione Baltic Sentry nel Mar Baltico, dall’inizio della quale “non è successo nulla. Quindi significa che tale deterrenza sta funzionando”. Oppure che non erano russi i responsabili come non lo erano stati negli anni precedenti? Rispetto alla Russia, dice l’ammiraglio, la Nato “ha molti più vincoli a causa di etica, leggi e giurisdizioni”. Sarebbe vero se li rispettassimo. Che dire delle operazioni nei Balcani e altrove, illegali, illegittime, non provocate condotte dal 1990 in poi? “Dobbiamo analizzare come si ottiene la deterrenza: attraverso azioni di ritorsione o attraverso un attacco preventivo?”, si chiede l’Ammiraglio. Ce lo chiediamo tutti, ma è proprio vero che non ci siano alternative al contrattacco e all’attacco? Rendiamo seria la difesa Nato a partire dalla politica e dall’individuazione del nemico. Quello vero.


Vogliamo i proattivi


(di Marco Travaglio – il Fatto Quotidiano) – Bene ha fatto Mattarella a esprimere “vicinanza e solidarietà” al capo della comunità ebraica romana, Victor Fadlun, per i muri della sinagoga di Monteverde imbrattati con insulti antisemiti. Meglio avrebbe fatto due mesi fa a chiamare anche gli studenti e i docenti del liceo artistico Caravillani lì vicino, menati e insultati il 2 ottobre da una ventina di picchiatori usciti dallo stesso tempio ebraico mentre erano riuniti in cortile per discutere dello sterminio a Gaza e intonare […]