Meloni, oggi premier, vaneggia come gli allora ragazzi neofascisti, che si raccontavano come nel mondo di superficie esistessero ânascosti nei salottiâ ideologici seminatori di violenza, non solo verbale
(di Pino Corrias – ilfattoquotidiano.it) – Ma davvero Giorgia Meloni, a 48 anni compiuti, non è ancora uscita dalla penombra della sezione missina di Colle Oppio, dove scalò lâadolescenza e la militanza?
Ragiona e fantastica come allora, quando i ragazzi neofascisti si raccontavano tra loro che fuori, nel mondo di superficie, esistevano ânascosti nei salottiâ i cattivi maestri âin giacca e cravattaâ che seminavano parole dâodio pronte per essere trasformate in sangue nelle piazze dalle zecche comuniste. Fa finta di non sapere come sono andate le cose. O peggio ancora, non sa quel che accadde qui in Italia, nel mondo reale, e ugualmente fa il presidente del Consiglio, esercitando il massimo potere di comunicazione sulla comunità nazionale, seminando tensione, distorcendo la verità dei fatti, delle storie, durante la nostra stagione di piombo e fiamme e vittime.
Dal 1969 al 1980 abbiamo avuto, qui in Italia, 7 stragi di matrice neofascista: Piazza Fontana, Gioa Tauro, Peteano, Questura di Milano, Piazza della Loggia, treno Italicus, stazione di Bologna. Tutti labirinti di inchieste, depistaggi, processi che hanno condotto al filo nero delle trame e ai responsabili, titolari di odio e di tritolo, variamente distribuiti nelle organizzazioni del terrorismo nero, da Ordine Nuovo a Ordine nero, da Avanguardia nazionale ai Nar. A loro volta intrecciati, finanziati, coperti da quellâaltro mondo dei poteri occulti, i Servizi segreti, la P2, la rete anticomunista e clandestina di Gladio. Gli identici poteri che sempre qui, in Italia hanno lavorato a tre tentativi di colpo di Stato, nel 1964, nel 1970, nel 1974. Sollecitati dal crescente allarme delle lotte sociali di quegli anni che rischiavano di sbilanciare a sinistra la Repubblica, la sua appartenenza al blocco occidentale, esito stabilito alla fine di una guerra persa, la Seconda guerra mondiale (combattuta in camicia nera al fianco della macchina di sterminio nazista) liberata, protetta e insieme occupata dalle forze militari americane.
Accadde certamente che la violenza di quegli anni non fu a senso unico, né poteva esserlo. Protagonista di quella stagione di sangue non fu la sinistra che si riconosceva nel Partito comunista, ma quella che lo contestava da sinistra, quella extraparlamentare dei movimenti giovanili che si presero le piazze e le cronache, i teorici della âNuova resistenzaâ imbracciata per rimediare al tradimento di quella vecchia che segnò, dal 1943 al â45, il riscatto dellâItalia dal ventennio fascista, depositato a fondamento della nostra Costituzione.
Le Brigate rosse â malamente rievocate in questi giorni â non câentrano nulla con lâoggi. Nascono per metà dalla matrice cattolica di una radicale militanza cristiana, per lâaltra metà dalla cultura marxista-leninista in forte contrasto proprio con il Partito comunista, che più di tutti fu protagonista di quella guerra di liberazione âinterrottaâ. Che ne rivendicava le radici. E che a differenza di quello che crede Giorgia Meloni e la vulgata opportunista della destra, si oppose al terrorismo nero tanto quanto a quello rosso, affiancandosi â non solo sul piano politico â allâazione di contrasto di carabinieri e polizia, esercitando la sua influenza sulla classe operaia e le forze sociali progressiste che in parallelo ai disordini che infiammavano le piazze e al sangue versato, contribuì al nuovo ordine delle conquiste sociali e civili dellâintero decennio anni Settanta.
Renato Curcio e Mara Cagol, fondatori delle Br, hanno matrice cattolica, prima che leninista. Franceschini, Gallinari, Pelli, Paroli, Ognibene, vengono dalle file del Partito comunista e partigiano di Reggio Emilia, sono loro il nucleo giovanile e insofferente che contesta il Pci fino alla scissione e alla scelta della lotta armata. Cento altri futuri militanti usciranno dalle formazioni extraparlamentari, Lotta Continua, Potere operaio, Servire il popolo, Autonomia operaia. Tutti credendo finito âil tempo della mediazione e dei partiti borghesiâ e inevitabile la scelta dellâavanguardia armata, del âcomunismo che diventa percorso al comunismoâ. Nemico lo Stato. Ma nemico anche il Partito comunista di Berlinguer e del suo ministro dellâInterno ombra Ugo Pecchioli, che dello Stato si sentono fondamento e anche baluardo, spesso con più fermezza della Democrazia cristiana.
Nelle piazze, nei quartieri di Milano, Roma, Torino, Genova, Padova, Napoli, si combatte unâaltra guerra, con le parole dâodio, le spranghe, i coltelli, le pistole, i ragazzi morti ammazzati. Guido Salvini, magistrato che per una trentina dâanni a Milano si è occupato di quel sangue versato â da Piazza Fontana a Sergio Ramelli, a Fausto e Iaio â ha provato a contabilizzarli quei morti, 19 ragazzi di sinistra uccisi, 7 ragazzi di destra. E se ogni morte comâè giusto pesa in sé, anche la proporzione pesa, non per intestarsi il primato di un delitto o di una colpa, ma per la verità dei fatti.
In quanto alle parole dâodio, Giorgia Meloni ha accanto a sé lâarchivio vivente di quel catalogo, Ignazio La Russa, oggi presidente del Senato, che di quegli anni fu protagonista, insieme con Almirante, Servello, Pisanò e i rispettivi busti di Mussolini riscaldati dalla fiamma tricolore, durante la stagione missina a Milano e Roma, con le scorribande delle frange più o meno violente dei camerati del Fronte della gioventù. E potrebbe chiedere alla sua sottosegretaria Isabella Rauti, lumi sul padre, Pino Rauti, fondatore di Ordine nuovo con Clemente Graziani, o al suo capo-segreterie di allora Adolfo Urso, oggi suo ministro, e la deriva terroristica che ne seguì, con le militanze clandestine di Stefano Delle Chiaie, Paolo Signorelli, Pierluigi Concutelli, Mario Tuti, tutti variamente indagati e coinvolti nella stagione delle stragi e degli omicidi politici. O potrebbe informarsi sulla temperatura emotiva, oggi, Anno III dellâEra Meloniana, dei camerati di CasaPound a Roma, o dei guerrieri che a ogni scadenza si radunano e inneggiano con i saluti romani e gli slogan fascisti a onorare la memoria dei âmartiri della destraâ. Visibilissimi a ogni anniversario a Roma, a Milano, persino a Predappio. O nascosti nel nero delle sezioni della Gioventù nazionale, come ha svelato lâistruttiva inchiesta di Fanpage, organizzazione giovanile del partito di Fratelli dâItalia. Il quale, transitando dalla opposizione al governo del Paese, non ha mai fatto i conti con il suo passato, né con il suo presente. Fatica a pronunciare la parola âantifascismoâ, considerandola sequestrata dalla sinistra. Che attacca ogni volta che può, ma sempre maneggiando lâarma del vittimismo, il fantasma degli alti salotti, dei nemici âin giacca e cravattaâ. Salvo che a forza di fingersi hobbit, gli âabitanti dei buchiâ, saranno quei buchi (di storia, di studio, di ipocrisia) a imprigionarli.
Quel che veramente stupisce è la meraviglia con la quale lâopinione pubblica e i governi europei accolgono le ormai decennali violazioni del diritto internazionale da parte […]
(di Elena Basile – ilfattoquotidiano.it) – Quel che veramente stupisce è la meraviglia con la quale lâopinione pubblica e i governi europei accolgono le ormai decennali violazioni del diritto internazionale da parte di Israele e Stati Uniti, come se ogni volta scoprissero i metodi brutali dellâimpero statunitense e della sua pedina atlantica in Medio Oriente.
Con Netanyahu e Trump è divenuto palese quel che era la norma anche in passato con le amministrazioni democratiche Usa. Mettiamo in fila le violazioni: bombe Nato a Belgrado, invasione di Afghanistan, Iraq e Libia, colpo di Stato a Kiev, sanzioni unilaterali, apartheid in Cisgiordania e crimini di guerra compiuti in una regione dove regna lâAnp e non un movimento terrorista, assedio di Gaza e punizioni collettive della popolazione a cominciare da âPiombo fusoâ (2008-2009), invasione di Gaza e genocidio, attacchi ripetuti al Libano dagli anni Ottanta, crimini di Sabra e Chatila fino ai più recenti attacchi terroristici per la decapitazione della leadership di Hezbollah, fomentazione della guerra civile in Siria e attacchi al paese, attentati terroristici contro lâIran, fino al più recente bombardamento dei siti nucleari, omicidi della leadership politica di Hamas in Iran e a Doha, la stessa Hamas con cui si negozia. Sono sicura di aver dimenticato molti altri eventi criminali. Naturalmente lâélite europea, al fine di gestire il consenso, pronuncia ridicole frasi di condanna, lâaggettivo più inflazionato è âinaccettabileâ, mentre di fatto la violazione del diritto internazionale, gli atti mafiosi come lâattacco alla Flotilla, o ben più gravemente, lâassassinio statunitense di 11 venezuelani considerati, senza nessuna prova, narcotrafficanti, si succedono con la complicità più o meno evidente dei liberi e democratici Paesi occidentali. Lâopinione pubblica maggioritaria presta scarsissima attenzione ai ripetuti crimini in quanto la propaganda planetaria ha ormai inserito nel Dna dei cittadini un pregiudizio radicato: lâOccidente buono si difende dai cattivi, autocrazie e terrorismo. La prima parte del libro Un approdo per noi naufraghi, che uscirà con PaperFirst in ottobre, è dedicata alla distruzione del multilateralismo e delle norme internazionali, costruite nel dopoguerra dallâOccidente trionfante, e ora simulacro difeso soltanto dai Brics. Si documentano i processi che ci hanno portato ai gravissimi eventi odierni, dal genocidio alla guerra in Europa. In Medio Oriente lâescalation non ha limiti. Mi ha sempre meravigliato che Hamas e Hezbollah avessero strategie in grado di fare da sponda alla più oscura e ipocrita retorica israeliana. I missili lanciati nel vuoto che offrivano lâoccasione per continue rappresaglie contro i palestinesi, la beffa del non riconoscimento di Israele che ha nutrito le azioni criminali di Tel Aviv sono esempi di una complicità paradossale tra terrorismo di Stato ed estremismi. Lâattentato a Gerusalemme avvenuto il giorno in cui si attendeva il processo a Netanyahu è il più recente evento che lascia perplessi.
LâIran, al contrario, è stato in grado, soprattutto recentemente, grazie a una diplomazia preparata e allâinfluenza di politici progressisti, di prendere posizioni moderate, temperando le risposte alle continue provocazioni israeliane. Eppure, secondo il colonnello statunitense D. Macgregor, si sta preparando un nuovo imminente attacco allâIran. A nulla vale che Teheran in diverse occasioni, (me lo ha confermato pochi giorni fa lâambasciatore iraniano in Italia, Mohammad Reza Sabouri) abbia comunicato di essere disponibile a rispettare gli obblighi del trattato sul nucleare del 2015, firmato e garantito dai 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più Germania e Europa. La posizione intransigente di Trump, uscito unilateralmente dal Tnp nel 2018, a cui si allineano le potenze europee E3, rimane la stessa. Non viene ammesso lâarricchimento di uranio, anche solo per scopi civili.
à ovvio che un Paese di 90 milioni di abitanti la cui economia dipende fortemente dallâenergia nucleare non potrà accettare il diktat occidentale. Si ha purtroppo lâimpressione che il nucleare iraniano sia concepito dagli occidentali come unâarma di destabilizzazione del Paese, oppure come alibi per gli illegali attacchi militari. La situazione in Medioriente è divenuta esplosiva come nella frontiera orientale dellâEuropa. Russia e Cina alleate di Teheran evitano di assumere toni bellicosi, mantenendo ferma la loro posizione contraria alle sanzioni illegali verso lâIran e garante degli obblighi del Jcpoa. Di fronte allâottusità occidentale, non mi stupirei se Mosca e Pechino non si convincano rapidamente che lâunico modo di temperare la hubris della Nato sia fornire lâarma nucleare allâIran e, in caso di attacco, di aiutare il paese militarmente. Siamo di fronte al nuovo capolavoro di una diplomazia europea inesistente.
(Marco Travaglio â Il Fatto Quotidiano) â Siccome lâattentato russo allâaereo di Ursula non era né russo né attentato, siccome il killer russo del leader Nato-nazista ucraino Parubij era un ucraino incazzato col suo governo, siccome lo sciame di droni fuori rotta abbattuti o caduti in Polonia aveva subìto eguale sorte in Bielorussia ed è improbabile che Putin bombardi il migliore amico per bombardare un nemico, e siccome i popoli europei continuano a opporsi alla guerra preventiva alla Russia, bisogna somministrare loro […]
(di Antonio Pitoni – lanotiziagiornale.it) – Ora che lâha detto persino il ministro della Difesa, Crosetto, siamo tutti più tranquilli: âNon siamo pronti né ad un attacco russo né ad un attacco di unâaltra nazioneâ. Ammesso che lo saremmo mai contro la prima potenza nucleare del pianeta. Ma preso atto dellâevidenza, il titolare del dicastero della guerra non demorde.
âLo dico da più tempo â incalza -. La gente non vuole sentire parlare di necessità di difesa, ma io penso che il mio compito sia quello di mettere questo Paese nelle condizioni di difendersi se qualche pazzo decidesse di attaccarciâ. Qualche pazzo tipo i polacchi che spingono lâescalation con Mosca, chiedendo agli alleati una No fly zone sullâUcraina trasformandoci in bersaglio? O come Macron e Starmer, due leader sulla via del tramonto che, alla testa dei cosiddetti volenterosi, non vedono lâora di inviare truppe al fronte per piombarci nella terza guerra mondiale?
Ma deposto per un attimo lâelmetto, Crosetto imbraccia subito il moschetto: âCome sentinelle dellâEst abbiamo già degli F-35, degli Eurofighter, oltre duemila soldati, siamo tra i primi contributori in assoluto nella Nato sul fianco Est e noi abbiamo anche il fianco Sud â argomenta -. Il contributo che abbiamo dato finora è abbastanza, se poi dovremo incrementarlo, e ci verrà formalmente chiesto, perché io ad oggi ho visto solo una dichiarazione di Rutte ma non una formale richiesta allâItalia, decideremoâ.
Il collega Giorgetti trema solo allâidea. âGli impegni internazionali connessi alle spese per la difesa e il sostegno allâUcraina non sono gratisâ, ma âsono un elemento nuovo che dobbiamo considerareâ, ha avvisato domenica scorsa il ministro dellâEconomia. Giustamente preoccupato che, tra impegni Nato (il 5% del Pil) e forniture militari/finanziarie a Zelensky, restino le briciole per la prossima Manovra. Rimane un mistero perché diavolo mai Mosca avrebbe lanciato i suoi droni â ipotesi peraltro smentita dal Cremlino â sui cieli polacchi avvicinando il âdirupoâ che tanto preoccupa Crosetto.
Per lâanalista Andrew Spannaus non ha senso: âChe vantaggio avrebbe Putin di attirare più F-35 in Polonia, e un rafforzamento delle difese aeree, quando da anni chiede esattamente il contrario?â. Qualcuno lo spieghi agli strateghi della Nato.
Amnesty International aveva messo in guardia già il 5 settembre: se Israele non avesse fermato il suo attacco, avrebbe avuto conseguenze catastrofiche e irreversibili
(Riccardo Noury Portavoce di Amnesty International Italia – ilfattoquotidiano.it) – Amnesty International aveva messo in guardia già il 5 settembre: se Israele non avesse immediatamente fermato il suo assalto su vasta scala a Gaza City e il progetto di sfollare centinaia di migliaia di persone e se nessuno nella comunità internazionale avesse fatto pressioni in tal senso, il già insopportabile livello di sofferenza della popolazione palestinese, alle prese con lâintenzionale campagna di riduzione alla fame e col genocidio, avrebbe avuto conseguenze catastrofiche e irreversibili.
E così è e sarà , in spregio a ogni norma del diritto internazionale e nel più totale disprezzo della vita umana.
A Gaza City si muore sotto i bombardamenti perché non si sa più dove andare, perché le persone affamate, ferite, malate o con disabilità non possono affrontare lâennesimo trasferimento forzato.
Nei giorni scorsi il Comitato internazionale della Croce rossa aveva dichiarato che era impossibile, nelle attuali condizioni, unâevacuazione di massa da Gaza City in modo conforme al diritto internazionale umanitario. La maggior parte delle persone palestinesi è stata già sfollata più volte e vive in campi di fortuna, fatiscenti e sovraffollati, privata dei beni più necessari. Molte persone non hanno alcun luogo sicuro dove andare o non possono muoversi a causa della malnutrizione o perché sono malate, ferite o hanno disabilità .
Secondo lâUfficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli Affari umanitari, alla data del 27 agosto oltre lâ86 per cento della Striscia di Gaza si trovava allâinterno della zona militarizzata da Israele o era soggetta a ordini di sfollamento. Lâesercito israeliano ha ordinato alle persone palestinesi di andare nella zona di al-Mawasi, nella Striscia di Gaza meridionale, già attaccata dalle forze israeliane. Le Nazioni Unite hanno dichiarato che la zona non è attrezzata per ospitare persone a causa della mancanza dâacqua, del sovraffollamento delle tende e della mancanza di cure mediche, a causa della decimazione del sistema sanitario causata da Israele.
Dunque, ancora una volta il mondo sta a guardare mentre Israele continua a sfidare i più elementari principi di umanità . Il tutto mentre lâAssemblea generale delle Nazioni Unite si accinge, dal 18 settembre, a riunirsi, impotente di fronte a una cesura storica: il passaggio dal concetto di diritti umani a quello del diritto del più forte.
(Giulia Grilllo e L’Indispensabile – lafionda.org) – Nella questione riguardante il conflitto Israele-Palestina assistiamo ad un aumento esponenziale dei toni e del linguaggio di giorno in giorno. Botte e risposte sempre più forti, sempre più offensive e sempre più accusatorie. Tutte le parti coinvolte, e tutti coloro che decidono di coinvolgersi, utilizzano lo stesso meccanismo, la stessa logica: diciamo ciò che pensiamo sempre con più forza perché chi avrà più forza, avrà la meglio in questa disputa e quindi vincerà . Un partecipante ai processi di riconciliazione tenutisi dal 2009 al 2015 tra un gruppo di ex militanti dellâestrema sinistra italiana, che ha operato durante gli anni di piombo, e un gruppo di vittime, ha detto che allâepoca fare politica significava riuscire a fare un buco più grande in uno più piccolo e chi ci riusciva, vinceva (Bertagna, Ceretti and Mazzucato, 2015, pp. 109â110). Beh, in Italia sappiamo bene questo a cosa ha portato e nonostante ciò, utilizziamo ancora questo meccanismo, che vediamo tuttora in atto con qualunque cosa: il conflitto tra Russia e Ucraina, quello tra Israele e Palestina, quello tra no-vax e pro-vax e altri.
Chissà poi perché a nessuno sembra importare di tutta unâaltra serie di conflitti, ad esempio in Sudan o in Congo o in Myanmar o ad Haiti (!!!) ed altri luoghi dove violenze e massacri vari si susseguono senza sosta da molto più tempo e prima degli anni 2020 â 2025. E non dico questo perché voglia fare una classifica dei morti o del dolore, affermando che alcuni sono più importanti di altri, anzi, proprio il suo esatto contrario. Ogni vita umana è uguale e ha pari dignità e ogni forma di danno o violenza contro essa, quindi contro la persona, è un atto grave, che deve essere compreso, nel senso che bisogna capire da dove derivi, ma che non si può né giustificare né minimizzare perché non esistono scuse per fare del male ad altri, neanche se si tratta dei vari Caini di turno (E giusto per essere precisi, nella nostra vita siamo stati e siamo tutti Caino e Abele allo stesso tempo, questo sarebbe bene tenerlo a mente, soprattutto quando ci sentiamo in dovere di diramare sentenze e condanne).
Ma tornando al punto, assistiamo ogni giorno ad urla sempre più forti, ad insulti sempre più forti, ad umiliazioni sempre più forti. Perché? Perché, alla fine, la logica impiegata è sempre la stessa, spesso anche da chi si dice lì per riportare la giustizia e la pace: se urliamo più forte, se umiliamo di più, se accusiamo di più allora avremo la meglio sul âmaleâ di turno, sul cattivo di turno â di nuovo, dimenticandoci che tutti siamo stati e possiamo essere nella nostra vita sia Caino che Abele; dr Jekyll e Mr Hyde.
Ma cosa sono la pace e la giustizia? Ce le poniamo davvero queste domande? E se sì, ci diamo davvero delle risposte serie e vere o ci diamo risposte che giustifichino e minimizzino le nostre azioni e quelle di coloro che identifichiamo come nostri âamiciâ o dalla ânostra parteâ, puntando invece i riflettori sugli altri e sulle azioni di altri? E che parole usiamo quando denunciamo ciò che è male, quando portiamo alla luce le ingiustizie? O anche quando parliamo a noi stessi? Usiamo parole che costruiscono la pace, che disinnescano la violenza, che spezzano la spirale ascendente di toni aggressivi o utilizziamo parole che invece fomentano le divisioni, le polarizzazioni e quindi la violenza e la guerra? Le parole non sono vuote, non sono neutre, hanno un peso molto forte e, come hanno detto in tanti, hanno il potere di costruire mondi (Goodman, 1978; Rosenberg, 2003; Sclavi, 2003). Mondi che appunto non sono neutri, ma rispecchiano ciò che le parole usate hanno voluto comunicare; gli obiettivi che le parole usate volevano raggiungere.
Allora chiediamoci: che cosa voglio comunicare? Qual è lâobiettivo che voglio raggiungere? Quando parlo di pace e di giustizia, che cosâè che intendo veramente? Sto cercando di vendicarmi dellâaltro o sto cercando di ricomporre i pezzi di un vaso che si è rotto? E se il mio scopo è la ricomposizione di un vaso rotto, le mie parole e le mie azioni consequenziali mi stanno avvicinando a questo obiettivo o stanno invece rompendo il vaso ancora di più?
Fermiamoci a riflettere, dunque; prendiamoci del tempo per capire quali sono i nostri obiettivi, se è la pace e la giustizia che vogliamo o se invece sono la vendetta e la sopraffazione dellâaltro che ci sta antipatico cui aspiriamo e che mascheriamo con parole quali pace, giustizia, diritti umani e simili. Fermiamoci e riflettiamo senza cadere nella trappola della fretta e dellâurgenza perché la fretta è cattiva consigliera â e non è solo un modo di dire, ma un dato di fatto. Tutti abbiamo ragioni per urlare, anche quelli che noi consideriamo essere in torto e âcattiviâ, proprio tutti, sì. Ma aiuta? Sta aiutando? O forse è arrivato il momento di uscire dai questi soliti schemi e logiche, questa volta per davvero.
Bibliografia
Bertagna, G., Ceretti, A. and Mazzucato, C. (2015) Il libro dellâincontro. Vittime e responsabili della lotta armata a confronto. Guido Bertagna, Adolfo Ceretti and Claudia Mazzucato. Milan: ilSaggiatore.
Goodman, N. (1978) Ways of Worldmaking. Hassocks: Harvester Press.
Rosenberg, M.B. (2003) Le parole sono finestre [oppure muri]. Introduzione alla comunicazione non violenta. Reggio Emilia: Edizioni Esserci (Dire, fare, comunicare).
Sclavi, M. (2003) Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte. Milan: Bruno Mondadori (Sintesi).
(ANSA) – Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, è tornato a paragonare il premier israeliano Benjamin Netanyahu ad Adolf Hitler. “Ideologicamente, Netanyahu è come un parente di Hitler”, ha detto Erdogan, come riferisce Anadolu.
“Proprio come Hitler non poteva prevedere la sconfitta che lo attendeva, Netanyahu affronterà lo stesso destino finale”, ha aggiunto il leader turco una volta rientrato in Turchia dopo avere partecipato al vertice della Lega Araba e dell’Organizzazione per la cooperazione islamica di Doha, convocato dopo l’attacco di Israele contro la capitale del Qatar contro una delegazione di Hamas.
Erdogan ha definito l’attacco “una palese sfida all’ordine internazionale e al diritto internazionale” e ha affermato che la leadership israeliana ha “trasformato la propria mentalità radicale in nient’altro che una rete omicida costruita sull’ideologia fascista”.
In Toscana l’europarlamentare usa come slogan “La Lega svolta a destra”, viene coperto da Salvini, e alle riunioni della Lega manda il suo collaboratore (che impone nel listino bloccato). A Pontida i vannacciani con le felpe “Make Pontida great again”
(Carmelo Caruso – ilfoglio.it) – Roma. Si sta rassegnando a fare il vice Vannacci, Salvinacci, Salvini lâaiutante. Lo copre, lo difende, lo sposa. In Toscana gli lascia usare lo slogan elettorale, âLa Lega svolta a destraâ; ai leghisti che scappano, per colpa del generale, replica: âCâè tanta gente che in Lega entra e anche qualcuno che può prendersi del riposoâ perché âVannacci è un valore aggiuntoâ. Eâ così aggiunto che da vicesegretario non si presenta ai federali. Al suo posto ha mandato recentemente il factotum speciale Massimiliano Simoni, lo stesso che ha imposto in Toscana nel listino bloccato. A Pontida vuole far sfilare i suoi vannacciani con le felpe, âMake Pontida great againâ. Eâ lâArlecchino del nuovo caos.Â
Si è vannaccizzato per intero anche Salvini. Garantisce che lo fa da fisico, da scienziato, per esperimento. Pensa Salvini: se in Toscana va male Vannacci finisce la bolla Vannacci; se va bene Vannacci (e vedrete) insieme, costruiranno Casa Vannacci al posto di Casa Pound. Si sono presentate ieri le liste della Lega in Toscana e Salvini ha partecipato di persona, a Firenze, ha dichiarato: âIl dibattito sulla vannaccizzazione della Lega interessa solo ai giornalistiâ perché âin Toscana, casa sua, è giusto che Vannacci abbia voce in capitoloâ.
Ormai non si capisce dove finisce Salvini e inizia Vannacci, si sovrappongono. Vannacci spiega: âIl clima che si è creato, dopo lâomicidio Kirk, è una cosa vergognosa e purtroppo devo constatare che la violenza è sempre a sinistraâ, Salvini annuisce, si traveste da pedagogo: âAndrò nelle scuole e nelle università a parlare con i ragazziâ. Alla presentazione mancava lâeuroparlamentare Susanna Ceccardi, mancavano i leghisti toscani che sono stati estromessi dal generale, consiglieri che hanno versato in questi 5 anni fino a 135 mila euro al partito. Sono le liste bollinate da Vannacci e che la segretaria della Lega Viareggio, dimissionaria, ha definito, âda pulizia etnicaâ. Hanno chiesto a Vannacci delle esclusioni e il generale ha fatto spirito: âIn Lega tutti potevano correre. Candidarsi non è né un premio né una rendita di posizioneâ. Eâ infatti un privilegio che Salvini ha concesso solo al suo factotum, questo Simoni, collaboratore personale di Vannacci a Bruxelles, che il generale invia, in missione, perfino ai federali di partito. Sono i leghisti a dirlo: âEâ come se Luca Zaia o Attilio Fontana si facessero sostituire dai loro collaboratori. Da quando?â.
Oggi pomeriggio, alle 17, si tiene un nuovo federale: chi manda Vannacci? Simoni o un ologramma? Eâ per Simoni che si è deciso (Salvini era contrario) di usare in Toscana il listino bloccato, scelta che ha provocato la fuga degli iscritti. Racconta al Foglio, Fabio Filomeni, il primo dei vannacciani (anche il primo a separarsene) âche tanti seguaci di Vannacci stanno rimproverando al generale la scelta di entrare nella Lega. Lâunione fra Vannacci e Salvini è stata un matrimonio dâinteresse ma adesso nuoce a entrambiâ. La Lega antica non ha mai avuto niente a che fare con la destraccia, che Meloni ha messo ai margini.
Anche Claudio Durigon, al sud, in Calabria e Sicilia, ogni volta che viene fermato, dice: âIo non câentro niente con i fascisti. Io sono un leghista e democristianoâ. Prima che Salvini consegnasse a Vannacci la campagna elettorale Toscana (e chissà cosa altro ancora) lâeuroparlamentare âno vannaxâ Ceccardi, raccontano a Firenze, suggeriva: misuriamoci, fai correre Vannacci in tre collegi e in altri tre fai correre me. Vediamo chi porta più voti. La risposta è stata ânoâ perché Vannacci è un generale, ma non ci mette la faccia (non è candidato). Lui mette solo faccioni nei poster dei vannacciani. Attilio Fontana, il Cambronne di Varese, lâautore del âcol cazzo che vannaccizziamo la Legaâ, si chiede in queste ore: âVannacci a Pontida? Non lo so? So solo che Pontida è la festa della Legaâ. E invece Vannacci parlerà , già sabato pomeriggio, alla festa dei giovani (nelle stesse ore ci sarà lâaltra, quella dei giovani FdI, e câè da scommettere che sarà unâoccasione per riabilitarsi, tanto più con Vannacci come termine di paragone). Non parlerà Ceccardi, non lo farà lâaltra vicesegretaria Lega, Silvia Sardone. Tutto il carnevale deve essere suo. Per tenerlo buono prenderà la parola Salvini, per primo, e seguiranno due interviste: una a Vannacci e lâaltra al ministro Valditara. Attenti, câè del metodo. Lâultima vestaglia che Vannacci intende indossare a Pontida è quella del Bossi con la cernia, il generale finto padano. Teme contestazione, da parte dei leghisti veneti, e prepara una sorpresa, la contromossa. Il suo manipolo prepara queste felpe: âMake Pontida Great againâ. Sogna, ma non lo dice ancora, i cortei al nero di seppia, quelli di Londra (Matteo Renzi ha scritto: âOcchio: se Vannacci fa come Farage, Meloni va a casa. Meloni alimenta la paura perché lei ha pauraâ). Pontida 2025? O diventa Predappio o la Vannacciexit.
(Alberto Ferrigolo- professionereporter.eu) – âTutti, quasi tutti i presidenti del Consiglio, in generale, hanno avuto controversi rapporti con la stampaâ.Â
Così Filippo Ceccarelli, giornalista e commentatore di Repubblica e di âPropaganda Liveâ, memoria storica e archivistica del giornalismo politico italiano, commenta le Dieci domande pubblicate da Professione Reporter il 31 agosto, recapitate direttamente alla premier Giorgia Meloni il 23 agosto senza avere ottenuto risposta, circa i suoi rapporti con la stampa e la volontà di non voler parlare con i giornalisti, come captato da un fuori onda a Washington il 18 agosto nel corso dellâincontro della delegazione europea con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Dunque nessuno si salva? Quali casi ricordi di Premier contro la stampaâ?
âRicordo DâAlema, Craxi che querelò il direttore del Corriere della Sera Alberto Cavallari, penso a De Mita che querelò Montanelli, il più importante giornalista italiano. E poi Renzi, Letta, Draghi che, da tecnico, ha fatto poche conferenze stampaâ.
E DâAlema, in particolare?
âCome Sartre parlò dei giornalisti come âjene dattilografeâ in una memorabile intervista a Lucia Annunziata per Prima Comunicazione, e disse che i giornali âbisogna lasciarli in edicolaâ¦ââ.
Meloni dunque non è unâeccezione?
âOnestamente, allungando un poâ il tavolo della storia, non direi che Giorgia Meloni sia così speciale. Certo, la sua origine politica potrebbe fare intendereâ¦, ma mi sembrerebbe attardante come risposta⦠Aggiungo anche un pensiero che spero non venga frainteso, ma credo che i giornalisti debbano essere una cosa diversa dai politici. Mantenere una distanza. Meloni ha fatto delle conferenze stampa fiume. Ne ricordo una in cui a un certo punto è sbottata: âRegà , devo andà al bagnoâ. Non ce la faceva piùâ.
Quindi è normale che una presidente del Consiglio si rifiuti di parlare con la stampa o si scelga i giornali a cui dare le interviste?
âLoro, i politici, osservano un criterio di convenienza nei confronti dellâinformazione. In certi momenti non vogliono parlare perché sanno che combinerebbero soltanto dei casini se parlassero, oppure parlano per strada in velocità . Questa alzata di scudi su Meloni che ha un cattivo rapporto con i giornalisti è un poâ forzata, occasionale. Câè un fuori onda in cui lei dice âio non ci parlo proprio mentre a lui piaceâ riferito a Trump durante lâincontro alla Casa Biancaâ.
Tutto era cominciato con âLâAgenda di Giorgiaâ, video senza intermediazione, che poi sâè diradata negli appuntamenti. Che fine ha fatto?
âDirei che lâAgenda si è un poâ persa. à chiaro che è un ruolo cruciale quello della comunicazione oggi per chi governa e lo dimostra, anche a Palazzo Chigi, la girandola di portavoce, di voci. E câè questo e poi non gli va più bene quello e quindi lâha chiesto a quellâaltro e quellâaltro câè andato, ma poi se nâè andato a fare il direttore di Libero, però adesso ce ne vuole un altro ancora. Ci sono delle logiche che sovraintendono a non so che cosa, ma la vera partita si gioca li dentro, nella comunicazione.
Quindi necessariamente Giorgia Meloni non parla quando sente che non le conviene. Quando decide di fare la conferenza stampa, o anche fa finta che sia tale, ma una volta in Tunisia ne fece una senza giornalisti che le ponessero le domande, sola davanti a un leggio. Oppure fa la prolusione o il video o lâintervento social, nel frattempo filtrano pure le foto di lei che sta sulla barca a fare il raftingâ.
Ti pare normale?
âDiciamo che il ruolo di mediazione dei giornalisti che abbiamo conosciuto, che abbiamo fatto in tempo come generazione a conoscere, è saltato. à qualche cosa che forse non attiene al singolo Presidente del Consiglio che arriva a Palazzo Chigi, ma fa parte di questo tempo, della rivoluzione tecnologica. Il pensiero che il politico debba necessariamente rispondere al giornalista, per altro poi dicendo una dubbia verità , non è nel novero delle cose certe.
Naturalmente chiunque abbia una concezione minimamente realistica delle cose sa che a volte è pure meglio che stiano zitti piuttosto di dire sciocchezze. Però non penso che lei sia speciale rispetto agli altri che lâhanno preceduta nello stesso Palazzo. Penso che chi arriva al potere ha a che fare con i giornalisti e stabilisce più o meno dei rapporti, a seconda dei momenti, dei tempi, di varie coseâ.
Poi câè tutta la storia di Berlusconi, su cui tu hai scritto un poderoso voluminoso libro (âB. Una vita troppoâ)â¦
âBerlusconi, a proposito, non è mai andato nemmeno a fare il question time. E lui, va ricordato, ha cominciato la sua discesa in campo proprio con una cassetta registrata mandata a tutte le tv, un monologo, una firma.
E poi le âdieci domandeâ di Giuseppe DâAvanzo in cui non sâè mai capito se lui ha risposto oppure no, però ha fatto causa a la Repubblica e il giornale è stato assolto. Ma è tempestoso, e vivaddio ha da esserlo, il rapporto tra i giornalisti e Palazzo Chigi, il governo, il potere. Sempre un bel guazzabuglioâ.
Insomma, al fondo non te la senti di dire che Meloni sbaglia nel suo atteggiamento con la stampa e i giornalisti in genere?
âOnestamente, sarei più per un approccio problematico che non scandalizzato. Il passato non dice che lei è particolarmente contro i giornalisti, ci sono tanti altri precedenti come abbiamo visto.
Se tu pensi che anche soltanto a livello giudiziario le cause fatte dai Presidenti del Consiglio in carica sono Craxi contro Cavallari, De Mita contro Montanelli, Berlusconi contro la Repubblica, DâAlema contro Forattini, la satira, mentre Meloni ancora non mi pare che abbia fatto la voce grossa. Aveva querelato il professor Luciano Canfora che lâaveva definita âneonazista nellâanimaâ, âuna poverettaâ, ma poi ha ritirato la querela. Poteva farlo anche con Roberto Saviano, peccato, ma câè ancora tempoâ.
(Tommaso Merlo) – Altro che violenza social, siamo alla violenza di stato e pure a livelli inauditi. Ormai Israele è una associazione a delinquere di stampo sionista assetata di sangue. Quello che ha sempre fatto ai palestinesi, oggi lo sta facendo allâintera regione mediorientale. Dopo aver sterminato lâintero governo dello Yemen in riunione e mentre sta radendo disumanamente al suolo perfino Gaza City affollata di civili allo stremo, Netanyahu e i suoi complici hanno tentato di ammazzare i negoziatori di Hamas in Qatar. Un emirato alleato degli americani con tanto di mega base militare, lo stesso che ha regalato a Trump il mega jumbo da 400 milioni di dollari. Vai a fidarti dei politicanti. Ormai Netanyahu e Trump lavorano in coppia, gli americani aprono tavoli di trattativa e quando arrivano i negoziatori Israele bombarda tutto. Lo hanno fatto con gli Hezbollah a Beirut, con lâIran attaccato a tradimento mentre trattava a Roma sul nucleare e adesso in Qatar. Un duo rodato. Trump per dire, è quello che ha ordinato lâassassinio di Soleimani a Teheran anni fa e quello che di recente invece di intercettare legalmente una barca proveniente dal Venezuela, lâha bombardata uccidendo 11 persone fregandosene altamente. Senza parla dello schieramento dellâesercito contro gli immigrati ed i suoi stessi cittadini. Violenza di stato di cui i sionisti rimangono insuperabili, uccidere i leader politici contrari al loro progetto coloniale, è un loro chiodo fisso. Qualcuno gli ha messo in testa la panzana che le idee crepano con chi le pensa. Funziona così, chi è conto di loro è un terrorista a prescindere e quindi degno di essere annientato mentre loro sono un popolo eletto che ha dato vita ad una democrazia liberale modello costretta a sporcarsi le mani di sangue per tutti noi occidentali, un nobile sacrificio che compiono in difesa della nostra superiore civiltà e che gli dà diritto a piena impunità e supporto incondizionato. Barzellette propagandistiche più tristi della realtà . I sionisti la pace non lâhanno mai voluta, quello che vogliono è il dominio sulla regione. Soggiogando con la violenza bruta non solo i palestinesi, ma tutti i popoli limitrofi che ormai bombardano a piacere come se la Grande Israele fosse già realtà e non un loro delirio ideologico. Solo negli ultimi due anni hanno bombardato otto paesi sterminando di tutto, dai governanti fino a decine di migliaia di civili inermi. Una carneficina immane che dura da decenni e compiuta con la complicità politica e miliare della superiore civiltà occidentale paladina della pace, dei diritti umani e che detesta la violenza in politica. Barzellette propagandistiche più tristi della realtà . Biden si era definito sionista e si era beccato il nomignolo di âgenocide Joeâ, ma Trump è peggio. à un viscido inserviente di Netanyahu a cui ha lasciato carta bianca. Anche in Yemen e Qatar visto che da quelle parti non vola una mosca senza autorizzazione dei Marines. Come se davvero nei famosi Epstein file vi siano le prove di quando il rampollo Trump molestava ragazzine. Tempi in cui Trump si lasciava andare alle sue perversioni come se non credesse che la democrazia fosse così corrotta da permettere perfino ad una canaglia come lui di diventare presidente. Si è fatto eleggere promettendo trasparenza sullo scandalo di pedofilia peggiore della storia americana, ed invece lo sta insabbiando perché è dentro fino al collo insieme a miliardari che hanno finanziato la sua campagna elettorale in un giro ricattatorio dalle ombre sioniste ancora tutto da decifrare. Mafia lobbistica che prevale perfino sul dolore delle vittime e la giustizia. Una crisi democratica davvero spaventosa. Soldi che si sono comprati tutto, perfino la dignità , perfino la verità storica. Almeno per adesso. In Occidente come in Medioriente dove a seguito dellâinaudito attacco in Qatar, il mondo arabo si è riunito dâurgenza condannando duramente. Hanno paura di uno stato paria assetato di sangue che può potenzialmente colpire chiunque. Hanno usato parole forti ma bisogna vedere se passeranno ai fatti occupandosi finalmente di quella che in fondo è casa loro e smettendola dâinchinarsi allâinciviltà occidentale. Hanno comunque capito il punto, una ideologia omicida fuori controllo è un pericolo per tutti. Anche per noi, anche per i paesi occidentali perché saltata la comunità internazionale possiamo tutti finire nel mirino della violenza sionista il giorno in cui gli volteremo le spalle. Altro che violenza social o sui marciapiedi, siamo alla violenza di stato e pure a livelli inauditi.
L’ex ministro (come De Luca) contro il candidato presidente che vuole vagliare le liste. Nella sua “Noi di centro” gli chiedono di inserire alcuni candidati: “Non se ne parla. I grillini mi odiano, ma non pensate che ai miei piaccia Fico”
(Gianluca De Rosa – ilfoglio.it) – âMa siamo matti?â. Clemente Mastella non ci sta. Lâex ministro della Giustizia ed eterno sindaco di Benevento sta preparando la lista di Noi di centro a sostegno della candidatura dellâex grillino e oggi contiano Roberto Fico in Campania. A Mastella però non va giù lâidea dellâex presidente della Camera di istituire una commissione di ex magistrati â i nomi che girano sono quelli dellâex procuratore aggiunto ed ex presidente del Pd di Napoli Paolo Mancuso e dellâex capo della Direzione nazionale antimafia, oggi deputato del M5s, Federico Cafiero De Raho â che dovrebbero occuparsi del controllo sui candidati delle diverse liste che supportano la candidatura di Fico.
âA me â dice Mastella â non va di essere giudicato una volta dai giudici in carica, unâaltra da illustri ex magistrati. Con tutto il rispetto, lo dico da ex ministro, questa storia è unâassurdità . Non può esserci questa pudicizia moralistica. Ricordo come in passato sia mia moglie Sandra, sia il presidente De Luca finirono nella famosa âlista degli impresentabiliâ stilata dalla commissione Antimafia, allâepoca presieduta da Rosy Bindi. Entrambi ovviamente per vicende che finirono nel nulla, ma che servirono ai loro avversari politici ad additarli. Fu una schifezza incredibile alla quale la Bindi si prestò e che non credo debba essere replicataâ. Questa vicenda è stata ricordata anche dal presidente De Luca negli scorsi giorni che, come lei, è contrario allâistituzione di questa commissione. Non è giusto però che il candidato presidente possa mettere bocca sulle persone che lo sostengono? âGuardi, fare una commissione per valutare le candidature va anche bene, ma deve essere fatta con una composizione mista, dove câè la politica. Poi va bene anche inserire qualche ex magistrato, ma non possiamo appaltare queste scelte solo a chi ha svolto un ruolo in magistratura. Bisogna valutare caso per caso, procedimento giudiziario per procedimento giudiziario. Eâ chiaro che se una persona ha collegamenti con la camorra deve restare fuori, ma non si può fare di tutta lâerba un fascio. Anche perché io sono sempre per rispettare le regole, ma se ci sono devono valere per tuttiâ. A cosa si riferisce? âPenso ad esempio alla Calabria dove Avs voleva candidare come consigliere Mimmo Lucano. A fermarlo però non è stata una commissione di illustri ex magistrati, ma la Corte dâAppello che gli contesta la legge Severino. E ancora â prosegue Mastella â penso al mio amico Nichi Vendola. Anche lui qualche problemino giudiziario lo ha. Io penso sia giusto debba essere candidato, ma perché il discorso che vale per lui in Puglia non dovrebbe valere anche per altri in Campania? Se câè una regola deve essere rigorosa, non è che può cambiare a seconda delle circostanzeâ.
Pensa che Fico tema alcuni dei vostri portatori di voti, intendiamo suoi e di Vincenzo De Luca? âMa non lo so â risponde Mastella â, non faccio processi alle intenzioni, certo di questo passo finirà che Fico prenderà meno voti della coalizione che lo sostiene, una cosa mai vista in unâelezione regionale. La verità è che a queste elezioni in Campania e Puglia il centrodestra non esiste, altrimenti sarebbero cavoli amari. Invece in queste condizioni ci si è potuto permettere tutta questa vanità e ipocrisia allâinterno del centrosinistraâ. E qui Mastella prende a parlare delle richieste che sono arrivate a lui sulla sua lista dal resto della coalizione: âVorrebbero che io metta alcuni candidati che non mi piacciono. Ma perché dovrei farlo? Perché dovrei portare i miei voti a candidati degli altri? Alcuni non sanno dove andare, ma portano voti, mi dicono. Amen, io ne porto di più. Anche perché oltre a un partito noi portiamo amministratori dalle province, non posso mica litigare con i miei per mettere dentro qualcun altroâ. Ne ha parlato con il candidato presidente? âGiovedì ci sarà una riunione programmatica con lui e ovviamente se si farà cenno a tutte queste cose io non potrò non dire la mia, non posso mettere candidati che mi fanno litigare con i mieiâ. Perché teme questo litigio? âIo sto sulle palle al mondo della sinistra e dei cinque stelle, ero uno dei bersagli di Grillo nelle piazze dei Vaffa, ma non pensate che Fico non stia sulle palle ai miei, che non voterebbero mai per lui se non ci fossi io? E però io faccio questa operazione politica, di lungo raggio, guardo davanti e non ai lati, supero dei dissidi sul piano personale, persino atteggiamenti di crudeltà politica ai mie danni, per il bene della coalizione. Ma anche gli altri devono fare lo stessoâ.
Lâidea e lâidentità . Le sue istituzioni minacciano di dissolversi nel caos feroce dei partiti, delle fazioni e delle culture contrapposte
(di Ernesto Galli della Loggia – corriere.it) – Lâassassinio di Charlie Kirk, lâodio feroce che esso testimonia e il truce scambio di accuse tra trumpiani e antitrumpiani che ne è seguito ripropongono la domanda che da tempo gli europei e non solo si pongono: che cosa è accaduto negli Stati Uniti che ha sconvolto nel modo brutale che è sotto i nostri occhi la loro vita pubblica, il loro ruolo politico, e la loro immagine? Che cosa è successo di così devastante da rendere irriconoscibile quellâAmerica che in tanti abbiamo amato e ammirato?
In realtà è la stessa grande storia di quel Paese che in qualche modo si ritorce contro se stessa. La storia degli Usa è una storia assai diversa da quella dei Paesi europei. A differenza di questi â costituitisi per effetto di una lunga e tormentata vicenda che nei secoli ne ha plasmato lâidentità â gli Stati Uniti, invece, sono nati come Stato e come nazione in conseguenza di unâaudace operazione rivoluzionaria di natura tutta ideologica. Essi sono nati, potremmo dire, come uno «Stato ideologico» (o se si preferisce uno Stato intimamente legato a un mito politico). Lâideologia era quella racchiusa nella dichiarazione dâIndipendenza e nella Costituzione del 1787 (tuttora in vigore: un caso unico al mondo), costruita intorno a due caposaldi.
Da un lato, unâidea radicale di libertà dellâindividuo-cittadino, unâidea della libertà in quanto strumento anche del successo e della felicità personali, e dallâaltro una profonda ispirazione religiosa fondata sul retaggio biblico-protestante che affidava alla nuova comunità una missione profetico-salvifica di portata mondiale («A Nation under God», una nazione sotto Dio, come un tempo si proclamava nel giuramento ufficiale di fedeltà agli Stati Uniti). Fino a ieri essere americani ha significato credere in Dio e nella libertà : sostenere i principi fondamentali dellâetica giudaico-cristiana (non importa secondo quale confessione religiosa, magari anche essendo ateiâ¦) e insieme i principi del governo rappresentativo e della «rule of law».
Proprio questa fortissima, compatta e onnipresente natura ideologica ha reso possibile la straordinaria capacità degli Usa di crescere assorbendo senza strappi ondate enormi di immigrazione. Non importava dove si fosse nati, quali memorie o quale lingua ci si portasse dietro. Per diventare ed essere americani bastava riconoscersi nella sua ideologia costitutiva, nei suoi principi e nella sua missione. Una bandiera a stelle e strisce piantata davanti casa attestava la fede del nuovo venuto nel destino americano. Una fede condivisa praticamente dalla generalità dei cittadini: ci si poteva dividere tra sostenitori di una sua versione più conservatrice o più progressista, ma lâidentità ideologica â e dunque alla fine anche culturale dellâinsieme â restava intatta e saldamente comune.
E quando è suonata lâora fatale â è bene non dimenticarlo â quellâidea e quella saldezza hanno salvato il mondo. Senza gli Stati Uniti, oggi a Pechino siederebbe un proconsole nipponico, le terre da Vladivostok agli Urali costituirebbero una grande riserva di manodopera schiavistica per lâImpero hitleriano esteso dal Dniepr allâAtlantico, e lâislamo-fascismo dominerebbe la Mezzaluna Fertile.
Ma dopo due secoli, a cominciare dalla seconda metà del â900, la fede condivisa nellâidea americana di cui dicevo ha cominciato a sgretolarsi. La guerra scatenata dalle minoranze in cerca di riconoscimento (neri, donne, omosessuali, gender) contro il passato nazionale â dipinto da Cristoforo Colombo in poi come un ammasso di nequizie, di razzismo, sessismo ed oppressione â è stata fatta propria, divulgata e amplificata dai settori cruciali dellâintellettualità , dellâistruzione, dei media e dello spettacolo (spesso per pura pavidità conformistica). Tutto ciò che sapeva del passato suddetto è divenuto quasi segno di colpa e di vergogna, senza che si levasse con forza alcuna voce potente e autorevole a porre un freno. Perfino la statua di Lincoln ha fatto le spese di una tale furia iconoclasta: di cui è immaginabile lâeffetto devastante sulla parte più conservatrice del Paese ma insieme anche sui più larghi strati dei «semplici» e degli incolti (cioè della maggioranza degli elettori) educati al più tradizionale patriottismo. Una parte di americani si è trovata ad abitare in un Paese irriconoscibile che non era più quello in cui erano nati.
Non basta. Sempre a cominciare dalla seconda metà del â900 le grandi trasformazioni culturali della modernità , insieme allâincalzare travolgente delle novità sia tecnologiche che della struttura capitalistica, hanno provveduto a svuotare e distruggere gli antichi valori del legame comunitario, dellâindividualismo benevolo e intraprendente, del «self help», fin dallâinizio cuore e sangue della società americana. Al tempo stesso la secolarizzazione minava inesorabilmente quella presenza del «sacro», del suo pathos unificante, che da sempre aveva costituito una gigantesca risorsa simbolica sulla quale il Paese aveva costruito la sua identità e il suo destino. Pezzo per pezzo, insomma, lâidea americana è andata perdendo la propria essenza vivente. Lâidea americana è diventata un involucro vuoto.
Ma una volta priva di quellâidea lâUnione â la quale è nata proprio muovendo da essa e facendone la sua ragione dâessere â lâUnione che è nata per lâappunto come «Stato ideologico» e tutto politico, fatica a reggersi in piedi. E infatti sotto i nostri occhi lo Stato e le sue istituzioni minacciano di dissolversi nel caos feroce dei partiti, delle fazioni e delle culture contrapposte che non riescono a riconoscersi più in nulla capace di tenerli realmente insieme. Se è consentito un paragone ardito e da prendere con beneficio dâinventario viene da pensare che così come la progressiva inagibilità storica del comunismo ha voluto dire la fine dello Stato sovietico, cresciuto con esso e grazie ad esso, altrettanto, pur con le ovvie differenze, possa accadere in futuro a quello americano. Ma se così fosse, allora lâaugurio migliore che per quel giorno noi, spettatori lontani ma in realtà vicinissimi, potremmo farci sarebbe io credo uno solo: quello di non esserci.
(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Quando durante il concerto di Wembley il cantante dei Coldplay ha invitato il pubblico ad alzare le mani per mandare un abbraccio di amore alla famiglia del trumpiano assassinato Charlie Kirk, lo stadio lo ha sommerso di «buu» e i social di insulti.Â
In fondo gli è andata bene. Qualcun Altro ci aveva provato duemila anni fa ed è stato messo in croce. Forse «ama il tuo nemico» non è mai stato lo spirito di nessun tempo, ma certamente non lo è di questo, consacrato alla rabbia e alla frustrazione, più ancora che allâodio. Si tratti di armi o di parole, la regola è sempre la stessa: reagire colpo su colpo. Offendere, minacciare, infangare sono diventati sintomi di vitalità , elogiati anche da illustri opinionisti. Se ti astieni dal praticarli, passi per un ipocrita, un privilegiato, un venduto. Per un debole, se proprio ti va bene.
Non câè più spazio (ma câè mai stato?) per chi vuole ascoltare le ragioni degli altri, perché la scena è occupata dagli ultrà del derby permanente: Noi contro Loro. Dove tutti – compresi certi Capi di Stato o di governo che in teoria dovrebbero parlare a nome della collettività  â si sentono di una parte sola, quella giusta, quella dei buoni e delle vittime. Lo ha ribadito ieri il generale Vannacci (e prima di lui tanti altri di entrambe le curve): la violenza non riguarda mai Noi, è soltanto opera Loro. Senza rendersi conto che già questa affermazione è una forma di pregiudizio, quindi di violenza.
Il filosofo: âNegli Usa male endemico: lì uccisi presidenti e leader politici. Qui solito anticomunismo incendiario della premier
(di Annalisa Cuzzocrea – repubblica.it) – Massimo Cacciari non è sorpreso dalle invettive di Giorgia Meloni contro la sinistra, sulla base di un inesistente legame con la violenza politica americana. Né dellâavviso del vicepremier Antonio Tajani che evoca il terrorismo e lâomicidio Calabresi. «I toni incendiari di certi settori dellâideologia o della politica di destra in Europa e negli Stati Uniti nei confronti delle cosiddette sinistre è storia vecchia come tutto il â900».
Non crede che un attacco del genere, preparato a Palazzo Chigi e su basi inesistenti, sia inaudito?
«Si tratta del solito anticomunismo violento e incendiario. Forse i settori della destra di cui le dicevo sono diventati preponderanti».
à una possibilità , ma possiamo paragonare quel che accade oggi nel nostro Paese con quanto sta accadendo in America in quanto a violenza politica?
«No perché dovremmo sapere bene che negli Stati Uniti si tratta di un male endemico: hanno ucciso presidenti come John Fitzgerald Kennedy, candidati presidenti come Robert Kennedy, hanno ucciso Martin Luther King e Malcolm X, hanno tentato di uccidere Reagan, poi Trump».
Tutto questo, secondo la presidente del Consiglio, viene da sinistra.
«Che sia a sinistra sono balle, è pura ideologia. Io credo non si possa in questo caso parlare di destra e sinistra, perché il problema è la situazione politica generale. à quel che accade nel mondo che fa sì che queste manifestazioni dâodio, e anche questo linguaggio dâodio, deflagrino».
Si riferisce alle guerre in corso e allâinerzia con la quale vanno avanti?
«In una dimensione di eterno conflitto le parole dâodio diventano particolarmente pericolose e sintomatiche. Il linguaggio è il sintomo di una situazione più generale in cui è venuta meno perfino la deterrenza atomica. Tutti parlano di guerra come fosse qualcosa che è nella fisiologia dellâagire politico, e questo rende particolarmente significative le esternazioni dâodio».
Che sarebbero il sintomo di quale malattia?
«Di una politica che ormai si concentra esclusivamente sulla soluzione militare».
Non è fuori misura evocare il delitto Calabresi sulla base di qualche fischio alla festa dellâUnità di Torino contro il ministro Zangrillo?
«A essere esagerata è la situazione generale, parliamo di cose serie non di Tajani!».
Che è comunque il ministro degli Esteri e dovrebbe forse per primo stare attento alle dichiarazioni incendiarie, o no?
«Nella situazione di cui io le parlo, il moltiplicarsi di voci alla Tajani o alla Meloni è segno che il grave sta diventando sempre più grave».
Come si risponde?
«Bisogna cominciare a fare un discorso di ragionevolezza, costruire dei percorsi di pace per i conflitti in corso. Prima di tutto, fermare lâeterna guerra civile europea perché prima o poi capita una Sarajevo, il patatrac che nessuno vuole, ma che sarà inevitabile se non cerchiamo di ragionare. Ha mai visto, in una situazione di guerra, dilagare un linguaggio diverso da quello dellâodio?».
No, ma probabilmente negli Stati Uniti câè un elemento in più che è il culto delle armi proprio della destra e soprattutto della destra Maga trumpiana.
«Anche quello è un aspetto caratteristico della cultura americana che riguarda grandi aree del Paese, a meno che non continuiamo a pensare che gli Stati Uniti siano New York e Hollywood».
Quando parla di guerra civile europea, si riferisce allâUcraina?
«Più guerra civile di quella».
Una guerra cominciata con lâaggressione della Russia contro uno Stato sovrano.
«Certo che è stata unâaggressione perché i due Paesi erano divisi, ma le guerre europee sono state tutte guerre civili. Ed è ora che lâEuropa finisca di prepararle, perché sono sempre state preparate dalle potenze europee».
In questo caso la guerra a Kiev lâha preparata Vladimir Putin.
«Basta andarsi a leggere come si è arrivati fin qui».
Proviamo a cambiare punto di vista. Crede che lâEuropa che parla di riarmo stia tradendo le promesse della sua fondazione?
«Certo. Ha tradito tutti i discorsi dei padri fondatori fuorché quello della libertà di mercato e della moneta unica. Ma i principi di solidarietà , di sussidiarietà sono falliti nel mancato adempimento delle riforme democratiche necessarie, lasciando tutto al dominio dei Paesi più grandi. Così come sono fallite la politica mediterranea, quella medio-orientale e non sono state impedite né le guerre civili nei Balcani né la guerra in Ucraina».
Cosa poteva fare lâEuropa?
«La politica come la medicina è per metà prevenzione. Vedere il bubbone, agire in tempo perché non scoppi».
Tra gli scontri dialettici più accesi, câè quello che riguarda il Medio Oriente. Forse lâassenza dellâEuropa si è sentita soprattutto nei confronti di Gaza, non crede?
«Su Gaza le élite politiche europee hanno segnato il punto di massima vergogna della loro storia. Non sono riuscite a fare nulla, neanche una sanzioncina nei confronti di Netanyahu. Non hanno più niente da dire».
Neanche il governo italiano ha preso le distanze con una qualsiasi azione concreta.
«No certo, di fronte a tragedie di questo genere ci ricordiamo della vituperata Prima Repubblica, quando lâItalia â pur restando dentro lâAlleanza atlantica â aveva una politica estera».
(di Michele Serra – repubblica.it) – Bisognerà aggiungere anche il giallista americano Scott Turow allâelenco dei âmoralisti furbastriâ (la definizione è di Giuliano Ferrara, da sempre maestro dellâinvettiva) che, inorriditi dallâesecuzione di Charlie Kirk, non considerano vera, né utile per capire lâaccaduto, lâattribuzione della violenza ideologica in parti uguali a dem e Maga.
Dice Turow: âlâomicidio di Kirk può essere ricondotto al contesto di estremismo che il presidente Trump e il suo movimento Maga hanno sempre aizzato. à lo stesso contesto di cui godono e gioiscono, dopo aver utilizzato il loro attuale potere per demonizzare e punire coloro che hanno idee diverse dalle loroâ. Di peggio, aggiunge: âIl fatto che la vedova di Charlie Kirk abbia predetto e addirittura stia già assaporando la vendetta dei suoi dimostra come non abbia imparato nulla dal dolore suo e dei suoi figliâ.
Il mio punto di vista è molto simile a quello (ben più americano del mio) di Turow, e non vedo perché manifestarlo valga lâaccusa, piuttosto infamante, di non dolersi abbastanza per un delitto politico al tempo stesso efferato e stupido, come tutti i delitti politici. Penso che il lugubre spirito censorio e lâintolleranza ideologica dellâestremismo woke, per altro criticato da anni e in tutte le salse da scrittori e intellettuali europei e americani, sia un pretesto gonfiato a dismisura dallâodio suprematista (bianco, maschile, âcristianoâ) che ha portato Trump alla Casa Bianca. E penso che il vero moralismo, in questo momento, sia il tartufismo di circostanza, che suggerisce di spalmare lâodio politico in parti uguali. Ma almeno negli Stati Uniti no, non è così. Se lo fosse, la recente esecuzione in casa della deputata dem Melissa Hortman e del marito avrebbe sconvolto e acceso lâAmerica quanto quella di Kirk. E così non è stato: o mi sbaglio?