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Le terre rare sono rare. Ma dove si trovano? La mappa


(infodata.ilsole24ore.com) – Quando si parla di terre rare l’aggettivo inganna ma solo fino a un certo punto: non sono poi così rare. Sono 17 elementi — dal lantanio al lutezio più scandio e ittrio — ampiamente presenti nella crosta terrestre. Il problema non è trovarli, ma estrarli e soprattutto raffinarli. È qui che l’infografica di Visual Capitalist (fonte: USGS, Mineral Commodity Summaries 2024) diventa una mappa geopolitica più che geologica.

L’infografica distribuisce oltre 130 milioni di tonnellate di riserve globali di terre rare come se fossero quote di un portafoglio planetario. La Cina domina con circa 44 milioni di tonnellate, pari a un terzo del totale. Seguono Vietnam e Brasile con oltre 20 milioni ciascuno, poi Russia e India. La vera assente è l’Europa, che non figura tra i grandi detentori e si affida quasi interamente a importazioni esterne. La fotografia delle riserve però è solo una parte della storia: la quasi totalità della raffinazione continua a essere concentrata in Cina, che controlla tra l’85 e il 90% della capacità globale. È qui che la geologia diventa geopolitica.

Le terre rare sono 17 elementi, dal lantanio al lutenzio più scandio e ittrio. Sono presenti nella crosta terrestre più o meno quanto rame o zinco, ma è molto difficile isolarle. Una buona metafora è quella del lievito nella panificazione: bastano piccole quantità per far crescere interi settori industriali. Il neodimio e il praseodimio alimentano magneti permanenti per motori elettrici e turbine eoliche. Una sola turbina offshore può utilizzare fino a 600 chilogrammi di magneti. Terbio e disprosio ne aumentano la resistenza termica, mentre europio e itterbio finiscono nei display e nei sensori ottici. In ogni smartphone convivono pochi grammi di terre rare, ma senza quei grammi non esisterebbero fotocamere, vibrazione, schermi ad alta luminosità. La loro economia è simile a quella dei semiconduttori: volumi minimi, valore strategico massimo.

La geopolitica della raffinazione

Il vero potere non sta nella miniera ma nella raffineria. Paesi come Vietnam, Brasile e Russia possono vantare riserve paragonabili a quelle cinesi, ma non dispongono di una filiera industriale capace di trasformare il minerale in ossidi e metalli ad alta purezza. La Cina questa filiera l’ha costruita con il metodo della pazienza industriale: investimenti costanti dagli anni Novanta, standard ambientali più permissivi, economie di scala che hanno schiacciato la concorrenza. Nel 2010 un contenzioso tra Cina e Giappone trasformò questa posizione dominante in una leva geopolitica. Le esportazioni vennero ridotte, i prezzi del disprosio e del neodimio salirono anche di dieci volte nel giro di poche settimane. È stato il primo shock delle terre rare della storia industriale moderna e ha rivelato a molte economie avanzate la fragilità della propria catena di approvvigionamento.

Il tentativo globale di diversificazione

Dopo lo shock, Stati Uniti ed Europa hanno iniziato a investire in una controfiliera. Mountain Pass, in California, è tornata operativa sotto MP Materials. L’Unione Europea ha introdotto il Critical Raw Materials Act, fissando l’obiettivo di estrarre entro il 2030 almeno il 10% del fabbisogno interno di materie prime critiche. Australia e Canada stanno spingendo su partnership pubblico–private per costruire impianti di separazione. Ma la distanza tecnologica rimane ampia. Raffinare terre rare significa gestire processi complessi, costosi e ad alto impatto ambientale. È una competenza che non si improvvisa. Avere la miniera è come avere una libreria piena di volumi antichi; saperli restaurare è un’altra cosa. Oggi la Cina possiede entrambe le capacità.

Riciclo, l’opzione che ancora non incide

Si parla molto di riciclo come soluzione strutturale, soprattutto con la crescita dell’economia elettrica. I magneti delle auto elettriche, per esempio, potrebbero teoricamente essere recuperati e reimmessi nella filiera. Ma oggi il riciclo copre meno dell’1% del fabbisogno globale. Mancano standard, impianti e soprattutto una massa critica di prodotti a fine vita. Potrebbe diventare una componente importante tra dieci o vent’anni, quando le generazioni attuali di auto e dispositivi entreranno nella fase di smaltimento.

Una materia prima che determina gli equilibri industriali

Le terre rare non sono rare, ma lo è la capacità di trasformarle. Per questo la mappa di Visual Capitalist non rappresenta solo la distribuzione delle risorse: anticipa gli equilibri della transizione energetica, della difesa, dell’elettronica e dell’intelligenza artificiale. Avere accesso a questi materiali significa poter progettare turbine, batterie e sensori. Non averlo significa dover negoziare ogni passaggio della filiera globale. In un mondo che corre verso l’elettrificazione, la partita delle terre rare è una delle poche in cui la geologia incontra direttamente la potenza economica.


Meloni ci trascina in zona Orbán: anche sulle libertà civili l’Italia è declassata


Il Civicus Monitor certifica lo stato delle libertà civili. Nel nuovo report il paese è declassato. Era già successo con la libertà dei media: Meloni ci trascina su livelli ungheresi. Anche Francia e Germania in caduta, mentre le destre a Bruxelles attaccano le ong: una “melonizzazione” dell’Ue

(La premier

(Francesca De Benedetti – editorialedomani.it) – Era già successo con la libertà di informazione sotto attacco: nella primavera del 2024, l’Italia a guida Meloni era retrocessa nel World Press Freedom Index di Reporters sans frontières finendo così nelle «zone problematiche» assieme all’Ungheria. Lo schema si ripete ora con la libertà dello spazio civico: anche su questo versante, l’Italia finisce in zona Orbán. Il report People Power Under Attack 2025 che Domani ha potuto visionare in anteprima e che viene pubblicato questo martedì dal Civicus Monitor, la piattaforma che attesta le condizioni delle libertà civiche su scala globale, segnala lo scivolamento illiberale del nostro paese. L’Italia risulta infatti declassata (il paese passa dalla categoria con spazio civico «limitato» a «ostruito»), e finisce così nella stessa fascia in cui si trova l’Ungheria dell’autocrate Viktor Orbán.

Ma questa – allargando il quadro – non è l’unica novità: il fatto che anche altre grandi democrazie europee, come la Francia e la Germania, vedano le proprie libertà civili contrarsi, riflette la “melonizzazione” dell’Ue. I recenti sviluppi in Europarlamento, con il centrodestra popolare europeo alleato delle destre estreme nell’attacco alle ong, mostrano che la retorica delle destre ungherese e italiana, impegnate da tempo nell’affondo contro le organizzazioni della società civile, sta a tutti gli effetti assumendo scala europea. Insomma, non è nei guai solo l’Italia, ma per molti versi tutta l’Unione europea.

L’Italia in zona Orbán

Il Civicus Monitor traccia tutte le limitazioni imposte alla società civile, come l’arresto di attivisti o la censura. Nell’indice, che si basa sull’apertura dello spazio civico, dunque sulle libertà civili, ogni paese riceve un punteggio da zero a cento, collocandosi così in cinque possibili fasce che riflettono le condizioni dello spazio civico: «aperto», «limitato», «ostruito», «represso» e «chiuso». Scendendo giù nella classifica – perché passa da spazio civico «limitato» a «ostruito» – l’Italia finisce in compagnia di paesi come Brasile e Ungheria.

Tra le motivazioni del downgrade c’è il decreto sicurezza, noto a livello internazionale come “legge anti Gandhi”: «Ignorando le proteste contro questa legge, il governo Meloni ha fatto sì che a giugno venisse promulgato il pacchetto di misure che inaspriscono le pene per la disobbedienza civile non violenta». Ma non si tratta di un caso isolato, come sottolinea la ricercatrice Tara Petrović, che cura il versante europeo del Monitor: «La legge sulla sicurezza è un grave attacco ai diritti in Italia, ma è solo un passo di una serie di crescenti restrizioni al dissenso e di una più ampia offensiva contro chi protesta. L’Italia avrebbe potuto sostenere gli anticorpi della sua democrazia, invece ha scelto di prenderli di mira. Ogni giorno, giornalisti, difensori dei diritti e attivisti si svegliano in un paese meno aperto».

Petrović snocciola un lungo elenco di fatti allarmanti: si va dalle pene più severe per i difensori del clima al fatto che la premier «abbia liquidato come estremiste le mobilitazioni per Gaza», passando per «le vessazioni» subite da chi soccorre vite in mare, fino alle querele bavaglio contro i giornalisti, lo spionaggio con Paragon, le «campagne diffamatorie» contro i giudici. Non casi isolati ma «l’espressione di un governo sempre più intollerante verso chi osi mettere sotto scrutinio il suo operato».

La melonizzazione dell’Ue

Il passo indietro sui diritti riguarda anche altri paesi europei, tanto che pure la Francia e la Germania risultano declassate in questa nuova edizione del report. Non solo Roma ma anche Parigi e Berlino passano da uno spazio civico «limitato» a uno «ostruito». Nel caso della Francia, l’argomento principale del Monitor è «il crescente attacco alla libertà di associazione», mentre la Germania sconta «la repressione della solidarietà verso la Palestina».

C’è poi una capitale che il Monitor non considera, ma che pure sta sferrando attacchi crescenti alla società civile. Si tratta di Bruxelles in quanto sede delle istituzioni Ue. Già da anni, il Ppe guidato da Manfred Weber – lo stesso che dal 2021 ha avviato l’alleanza tattica con Fratelli d’Italia – prende di mira le ong. A novembre i Popolari, alleati con le destre estreme, hanno inaugurato uno «scrutiny working group» che è incardinato nella commissione Controllo bilancio dell’Europarlamento e ha come bersagli ong e think tank attivi su clima e migranti, temi sui quali le destre esercitano la loro saldatura.


Ue, Trump torna alla carica: “Paesi decadenti e leader deboli, non sanno cosa fare”. Bruxelles replica: “Orgogliosi di loro”


Il presidente ha ribadito la sua intenzione di sostenere candidati politici in Europa che condividano la sua visione: “Ho già appoggiato persone che molti europei non amano. Ho appoggiato Orban”. Sull’Ucraina: “Devono tenere elezioni o non è più democrazia”

(adnkronos.com) – Donald Trump torna alla carica. Mentre non si arresta l’eco delle polemiche suscitate dalla nuova Strategia per la sicurezza nazionale Usa, con le pesanti critiche all’Ue e conseguenti accesi botta e risposta, il presidente americano lancia un nuovo affondo all’Europa.

In un’intervista a Politico Trump ha definito “deboli” i leader dei Paesi europei, di cui ha denunciato la gestione dell’immigrazione e del conflitto ucraino. “Penso che siano deboli, e vogliono essere così politicamente corretti – ha detto – Non sanno cosa fare. L’Europa non sa cosa fare“. Il presidente Usa ha liquidato così gli sforzi europei per una soluzione al conflitto in Ucraina. “La Russia è ovviamente in una posizione di forza“, ha dichiarato il tycoon, aggiungendo che “i leader europei parlano ma non producono, e la guerra continua all’infinito”. Trump ha ribadito di aver proposto un nuovo piano di pace che “alcuni funzionari ucraini apprezzano”, ma di cui “Zelensky ancora non ha letto la bozza”.

Il presidente ha definito “decadenti” i Paesi europei e criticato capitali come Londra e Parigi, “sovraccariche” a causa della migrazione dal Medio Oriente e dall’Africa, aggiungendo che senza un cambio di rotta “alcuni Stati europei non saranno più Paesi sostenibili”. Ha inoltre attaccato il sindaco di Londra Sadiq Khan, definendolo “un disastro” che “viene eletto perché sono arrivate così tante persone. Ora votano per lui”.

Trump ha ribadito la sua intenzione di sostenere candidati politici in Europa che condividano la sua visione, anche a costo di alimentare tensioni diplomatiche con i governi attuali. “Ho già appoggiato persone che molti europei non amano. Ho appoggiato Viktor Orbán“, ha ricordato.

Quanto all’Ucraina, “penso che debba tenere delle elezioni – ha affermato – Stanno usando la guerra per non tenere le elezioni, ma penso che il popolo ucraino debba avere questa possibilità”.

“Forse Zelensky vincerebbe, non so chi vincerebbe, ma non tengono elezioni da molto tempo, parlano di democrazia, ma si arriva a un punto in cui non è più una democrazia“, ha aggiunto il presidente americano.

La replica: “Orgogliosi dei nostri leader”

“Lasciatemi cogliere l’occasione per ribadire quello che credo sia il sentimento di molti dei milioni di cittadini dell’Ue: siamo orgogliosi dei nostri leader”, ha dichiarato la portavoce-capo dell’esecutivo europeo, Paula Pinho, nel corso del briefing giornaliero con la stampa, astenendosi dal commentare direttamente le dichiarazioni di Trump.

Mi asterrò dal commentare, se non per confermare che siamo molto soddisfatti e grati di avere leader eccellenti“, a partire dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, “di cui siamo davvero orgogliosi, che può guidarci nelle molte sfide che il mondo deve affrontare”, ha affermato Pinho. “Abbiamo molti altri leader alla guida dei ventisette Stati membri che fanno parte di questo progetto europeo, di questo progetto di pace, che stanno guidando l’Ue in tutte le sfide che essa deve affrontare, dal commercio alla guerra nel nostro vicinato”, e di fronte a esse “stanno dimostrando di sapersi mostrare uniti in ventisette”, ha concluso.


Dai tumori ai parti agli infarti alle fratture: ecco i 15 ospedali «top» dove andare a curarsi


I 15 ospedali italiani d’eccellenza: performance, divari regionali e sfide per la sanità pubblica. Il programma nazionale Esiti di Agenas certifica le strutture con livelli alti di standard e di performance in almeno sei aree terapeutiche ma dà conto della frattura tra Nord e Sud del paese con regioni ancora al palo su indicatori strategici

(di Barbara Gobbi – ilsole24ore.com) – Dai tumori agli infarti, dalla gestione di gravidanza e parto alla frattura del collo del femore: sono 15 gli ospedali su 1.117 strutture di ricovero per acuti pubbliche e private valutate, che raggiungono il top in Italia, rispettando gli standard fissati con legge nel 2015 e mostrando performance buone o ottime in 8 aree della sanità pubblica o privata. “Rimandati” cioè da sottoporre ad audit (volontari) mirati per il miglioramento, 198 ospedali (il 22% delle 871 strutture valutate con un meccanismo di analisi definito treemap) che presentano in tutto 333 punti critici soprattutto in ambito gravidanza e parto e cardiocircolatorio. Con i centri da “verificare” per lo più concentrati al Sud anche se pure il Meridione è in miglioramento come tutto il Paese: 51 centri in Campania, 43 in Sicilia, 19 in Puglia, 12 della Calabria ma anche 14 della Lombardia.

A tracciare il quadro, che per l’ennesima volta certifica il gap nelle cure tra Nord e Sud del Paese con il Meridione in recupero ma ancora drammaticamente lontano dalla media nazionale per alcuni indicatori come la gestione del cancro del pancreas e del retto, la tempestività di accesso a procedure salvavita e il ricorso eccessivo al cesareo, è il Programma nazionale Esiti dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas), che da 12 anni monitora le performance della Sanità italiana. Questa volta, con l’intento di tracciare un bilancio sull’attuazione del Dm 70 del 2015, che a 10 anni dall’entrata in vigore necessita di un tagliando a cui sta lavorando il ministero della Salute. Era stata proprio quella norma a introdurre a livello nazionale standard quantitativi per la riorganizzazione delle cure in ospedale, nel segno della qualità e della sicurezza delle cure. E se i risultati si vedono, molta strada verso un’omogenea appropriatezza ed efficienza delle prestazioni in tutto il Paese resta da fare.

L’identikit

Oggi il Pne dà il polso della sanità italiana grazie a 218 indicatori (dai 146 del 2015) di cui 189 relativi all’assistenza ospedaliera e 29 relativi a quella territoriale, valutata per il momento ancora indirettamente in termini di ospedalizzazioni evitabili, esiti a lungo termine e accessi impropri in Pronto soccorso. Ma il territorio è un’area ancora in grande parte da esplorare ed è questa una delle prossime sfide di Agenas, chiamata nei prossimi anni a verificare l’attuazione del “gemello diverso” del Dm 70: quel Dm 77 del 2022 che in attuazione del Pnrr ha riscritto l’organizzazione delle cure primarie.

Gli ospedali top

Ma quali sono gli ospedali che secondo l’edizione 2025 del Programma nazionale Esiti presentano un livello “alto” o “molto alto in almeno sei aree tra le otto valutate? Per la Lombardia, l’Ospedale Bolognini, l’Ospedale Maggiore Di Lodi, Fondazione Poliambulanza, l’Ospedale Papa Giovanni XXIII, l’Istituto Humanitas. Per l’Emilia Romagna, l’Ospedale Bentivoglio e l’Ospedale di Fidenza. Per il Veneto, l’Ospedale di Montebelluna, quello di Cittadella e quello di Mestre. Per l’Umbria, l’Ospedale di Città di Castello. Per la Toscana, il Presidio ospedaliero Lotti Stabilimento di Pontedera. Per le Marche, lo Stabilimento Umberto I – G.M. Lancisi. Per la Campania, unica regione del Sud a comparire in questa lista, l’Azienda ospedaliero universitaria Federico II di Napoli.

Schillaci: così migliora il Ssn

Intanto, a sintetizzare i principali dati del Programma nazionale esiti sui dati 2024 è intervenuto il ministro della Salute Orazio Schillaci, che ha ospitato la presentazione nella sede del dicastero a Roma: «L’edizione 2025 – ha ricordato – coincide con i dieci anni dall’entrata in vigore del DM 70/2015 e ci dà l’opportunità di fare un bilancio dell’evoluzione del Servizio sanitario nazionale. I dati di questa edizione confermano un principio fondamentale: quando il sistema opera con standard nazionali basati su riferimenti normativi precisi e con strumenti efficaci di monitoraggio, il sistema globalmente migliora. La concentrazione della casistica complessa in centri che garantiscono alti volumi di attività – correlati a maggiore efficacia – ha registrato miglioramenti notevoli: tra gli altri vorrei ricordare la chirurgia della mammella che è passata in quasi 10 anni dal 72% nel 2015 al 90% nel 2024, così come il tumore del polmone (da 69% a 83%) e della prostata (da 63% a 82%)», ha precisato il ministro.

Cosa ci dicono questi dati? Che in questi anni – ha commentato ancora Schillaci – «sono state garantite una maggiore qualità e sicurezza delle cure per quanto riguarda l’area oncologica, e ciò grazie proprio alla capacità propulsiva del Dm 70 che ha portato alla concentrazione degli interventi a maggiore complessità in strutture qualificate e, quindi, nelle mani di operatori più esperti. Riguardo all’area materno-infantile, c’è stata una graduale riduzione di parti cesarei che sono scesi dal 25% nel 2015 al 22% nel 2024 ed è lentamente cresciuta la percentuale di parti vaginali dopo taglio cesareo. Quindi si tratta di passi in avanti, ma dobbiamo e possiamo fare meglio per aumentare l’appropriatezza clinica in questo ambito». Anche gli esiti migliorano: ad esempio la mortalità per bypass aortocoronarico isolato scende all’1,5%, e quella a seguito di interventi sulle valvole cardiache al 2%.

«Non mancano tuttavia alcune criticità – ha avvisato il ministro -. Permane infatti, come in altri ambiti sanitari, un significativo divario Nord-Sud. Penso alla concentrazione di interventi oncologici complessi che al Sud fatica ancora a raggiungere gli standard previsti, specialmente per il tumore del pancreas (solo 28% in centri ad alto volume) e il tumore del retto. Anche la tempestività di accesso alle procedure salvavita varia considerevolmente tra il Nord e il Sud, come pure l’appropriatezza clinica in ambito materno-infantile, con particolare riferimento ai parti cesarei primari e ripetuti».

Il bilancio a 10 anni

«La novità di quest’anno – ha sottolineato Giovanni Baglìo, direttore scientifico del Programma nazionale Esiti di Agenas – sono i 10 anni dall’emanazione del Dm 70 e la riflessione si concentra su quanto questo strumento sia riuscito a condizionare le processualità e gli esiti rispetto alle soglie e la considerazione in generale che emerge è che il sistema è in grado di evolvere quando vi siano dei riferimenti chiari a livello nazionale e quando i sistemi di monitoraggio riescono a fotografare e a sostenere il cambiamento. Laddove questo non avviene o non è avvenuto, il sistema fa fatica a evolvere o addirittura va indietro». Tradotto: dove il Dm 70 ha prodotto soglie cioè ha fissato gli standard ed è stato recepito i miglioramenti ci sono. Ma le soglie non sono state fissate su tutto e il miglioramento è avvenuto dove i sistemi di monitoraggio hanno funzionato: ci sono casi in questo è avvenuto e altri in cui qualcosa è andato storto.

Tumori: retto e pancreas attenzionati

Emblematico il caso della chirurgia oncologica, Giano bifronte dal punto di vista di vista degli Esiti: da una parte, c’è il caso virtuoso del tumore maligno della mammella dove oggi si riesce a concentrare in centri ad alto volume quasi il 90% della casistica. Non a caso: per questa tipologia di cancro il Dm 70 aveva prodotto delle soglie e dispositivi di valutazione nazionale come il Pne ma anche regionali consentendo di monitorare l’andamento del fenomeno e c’è stata un’ampia mobilitazione delle regioni e dei professionisti. Tutt’altro discorso per il tumore del retto: qui in assenza di soglie nazionali i sistemi di monitoraggio hanno agito con difficoltà perché spesso questo tumore è stato confuso e accorpato con quello del colon, che è tutt’altro tipo di patologia e richiede una chirurgia con differente complessità. Addirittura per il tumore del retto si registra un peggioramento: le strutture ad alto volume diminuiscono e la capacità di concentrare gli interventi è diminuita dal 30% al 22 per cento. Ma perché per alcune patologie le soglie non sono state prodotte? «Perché per alcune patologie la letteratura nel frattempo è aumentata, vi è una maggiore documentazione rispetto all’esistenza di relazione tra volumi ed esiti e dunque il Dm 70 va aggiornato per ridefinire le soglie che ci sono e inserirne di nuove. Dieci anni fa il tumore della mammella rappresentava una priorità su cui ci si è giustamente concentrati ma altre patologie importanti sono rimaste in ombra», spiega Baglìo.

Cuore tra luci e ombre

Un discorso che non vale solo per l’oncologia: per l’area cardiovascolare, in 10 anni si è ottenuta una diminuzione del 21% degli infarti ma soprattutto la casistica si è concentrata in strutture grazie alle reti dell’emergenza cardiologica dove sono presenti centri hub e spoke. Una persona con infarto quindi oggi ha un’alta probabilità di finire in strutture qualificate. Diverso il caso del bypass aortocoronarico: qui si fa fatica a concentrare gli interventi perché ci sono troppe cardiochirurgie e perché la casistica si sta riducendo a fronte della difficoltà di concentrare i pazienti in strutture ad alta qualificazione. Anche qui servirebbe uno sforzo maggiore dal punto di vista della programmazione regionale e delle reti e i dati dovrebbero servire proprio a questo.

Cruciale quindi il tema della governance: i dati del Pne srevono per governare il sistema ma bisogna farne tesoro, così come va aggiornata la bussola del Dm 70/2015. Un tema su cui il ministero ha formalmente avviato un tavolo da anni ma siamo ancora in attesa di un decreto con nuove soglie – che vanno manutenute esattamente come gli indicatori – su aspetti problematici della gestione delle cure.

Cesarei sempre sopra-soglia

Sul fronte cesarei, siamo in netta risalita rispetto agli anni in cui l’Italia viaggiava sul 40% e se negli ultimi anni vediamo una riduzione minima – spiegano da Agenas – è perché il grosso calo negli interventi c’era già stato. L’Italia resta comunque nettamente al di sopra dello standard del 15% fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms): i tagli cesarei sono in lieve calo dal 25% del 2015 al 22% del 2024 ma con forti differenze tra Nord e Sud con valori mediani al Meridione spesso al di sopra del 25% con punte del 30 e del 35%. Inoltre, ci sono aree del Paese in cui si continua a mantenere aperti i punti nascita al di sotto dei 500 parti l’anno, malgrado la legge ne disponga la chiusura. Più in generale, il ricorso alla chirurgia per un evento che dovrebbe essere naturale come il parto è minore negli ospedali pubblici e nei centri ad alto volume generando una forte inappropriatezza.

La frattura Nord-Sud

A tracciare plasticamente la frattura che permane tra Nord e Sud del Paese con il Meridione in svantaggio è l’elenco delle eccellenze: solo l’Aou Federico II di Napoli in Campania rientra nella rosa delle 15 strutture valutate su almeno 6 aree che hanno raggiunto un livello “alto” o “molto alto”. Le altre sono ripartite tra Lombardia (5 centri), Veneto (3 centri), Emilia-Romagna (2 centri), poi Toscana, Marche e Umbria ciascuna con un centro. Questo significa che le grosse strutture sono quasi tutte al Nord e questo resta un problema, anche se il Sud nel tempo mostra dei passi avanti. Il nodo per il 2024 resta la grande frammentazione in ambito oncologico, ad esempio, con i centri per il pancreas in condizioni ancora drammatiche, e il gap permane anche nell’area materno-infantile.

Le novità in arrivo

La Chirurgia mininvasiva è tra la novità di quest’anno: aumenta l’approccio mininvasivo che espone il paziente a minori complicanze come le infezioni. Idem per la robotica, che va monitorata perché per alcuni ambiti mancano le evidenze. Sono soddisfacenti i dati relativi all’approccio mininvasivo e all’utilizzo della robotica che mostrano un utilizzo sempre più diffuso di queste tecniche, soprattutto in ambito urologico, anche con il superamento dell’approccio open (con percentuali anche superiori all’80%).
Sul territorio siamo ancora ai dati delle Sdo: si misura la qualità in modo indiretto, utilizzando indicatori di ospedalizzazione evitabile cioè ricoveri che sarebbero evitabili qualora l’assistenza territoriale fosse di buon livello.
Sullo scompenso cardiaco non c’è stato miglioramento e soprattutto c’è un’ampia variabilità all’interno dei territori, il che probabilmente è una misura indiretta del fatto che l’assistenza territoriale non è uniforme. Ancora più eclatante è questo dato per il diabete: le complicanze a medio e lungo termine e la più impattante come l’amputazione degli arti mostra un tasso di ospedalizzazione ancora doppio rispetto alla mediana nazionale.


L’Ue indaga su Google per uso contenuti editori per l’IA


(ANSA) – La Commissione europea ha avviato un’indagine antitrust per verificare se Google abbia violato le norme Ue sulla concorrenza utilizzando, per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, i contenuti degli editori online e i video caricati su YouTube.

Bruxelles punta ad accertare se Google abbia falsato la concorrenza imponendo condizioni contrattuali ingiuste a editori e creatori di contenuti, oppure garantendosi un accesso privilegiato a questi contenuti, con possibili effetti negativi sugli sviluppatori di modelli di IA concorrenti.

La Commissione europea teme che Google abbia utilizzato in modo improprio i contenuti degli editori online per alimentare i propri servizi di intelligenza artificiale generativa (‘AI Overviews’ e ‘AI Mode’) mostrati nelle pagine dei risultati di ricerca, senza offrire agli editori un’adeguata remunerazione e senza consentire loro di rifiutare l’uso dei propri contenuti senza perdere l’accesso al traffico proveniente da Google Search, da cui molti dipendono.

Timori Ue analoghi riguardano anche i video e gli altri contenuti caricati su YouTube per addestrare i modelli di IA generativa di Google, anche in questo caso senza compensare i creatori né permettere loro di opporsi. Chi carica contenuti su YouTube, evidenzia Bruxelles, è obbligato a concedere a Google il permesso di usarli anche per l’addestramento dell’IA senza tuttavia ricevere un corrispettivo.

“Una società libera e democratica si fonda su media diversificati, libero accesso all’informazione e un panorama creativo dinamico. Questi valori sono centrali per la nostra identità di europei”, ha evidenziato la vicepresidente dell’esecutivo Ue, Teresa Ribera, ammonendo che “l’IA sta portando innovazioni straordinarie e molti benefici per cittadini e imprese in tutta Europa, ma questo progresso non può avvenire a scapito dei principi alla base delle nostre società”.

L’indagine antitrust sarà condotta con procedura prioritaria: se confermate, le pratiche sleali si configurerebbero come abuso di posizione dominante.


Sondaggi politici: cresce il Movimento 5 stelle, migliora la Lega


La rilevazione settimanale di Swg per il Tg La7 sulle intenzioni di voto degli italiani

Sondaggi politici: cresce il Movimento 5 stelle, migliora la Lega

(repubblica.it) – Fratelli d’Italia resta saldamente primo partito, pur con una lieve flessione dello 0,1%, e si colloca al 31,2%. È quanto emerge dal sondaggio settimanale di Swg per il Tg La7. Una variazione minima, ma che conferma la fase di stabilizzazione dopo mesi di sondaggi oscillanti.

Restando nel campo della maggioranza, la Lega segna invece un miglioramento: +0,2%, salendo all’8,1%. Il partito sembra recuperare terreno, anche se resta lontano dai livelli del passato. Forza Italia rimane invariata al 7,9%, mostrando una tenuta costante

Sul versante progressista, il Partito democratico arretra dello 0,2% e scende al 22%. Una flessione contenuta, ma significativa se confrontata con la crescita di altre formazioni di opposizione. I Verdi e Sinistra perdono anch’essi 0,2%, scendendo al 6,7%.

Il Movimento 5 Stelle è invece il partito che registra la miglior performance della settimana: sale al 13,0%, con un incremento dello 0,3%. Un segnale positivo che conferma un trend di lieve recupero.

Tra i partiti minori calano Azione e +Europa -0,1%. Stabili Italia Viva e Noi Moderati, in risalita Altre Liste +0,2%. Aumenta del 2% la percentuale di chi non si esprime.


L’hobby preferito di Trump, prendere a sberle l’Europa


Trump, l’Europa sta andando in alcune direzioni sbagliate

(ANSA) –  Donald Trump ha accusato l’Europa di andare in “direzioni sbagliate”. “L’Europa deve stare molto attenta in molte cose. Vogliamo mantenere l’Europa com’è, sta andando in alcune direzioni sbagliate”, ha detto il tycoon rispondendo alle domande dei giornalisti durante un evento economico. “È molto negativo per la gente. Non vogliamo che l’Europa cambi così tanto. State andando in direzioni molto sbagliate”, ha aggiunto.

Oggi l’Ucraina è diventata vittima sacrificale di un’Europa che è fallita

(di Alessandro Orsini) – L’Europa, che avrebbe dovuto isolare la Russia, si ritrova isolata. La guerra in Ucraina spiega un fenomeno che Wilhelm Wundt ha chiamato “legge dell’eterogenesi dei fini”. Secondo Wundt, può capitare che gli uomini si dirigano verso fini diversi da quelli che perseguono consapevolmente, a causa degli effetti secondari o delle conseguenze non previste delle loro azioni. In altre parole, gli uomini si uniscono per raggiungere un obiettivo, ma poi devono fare i conti con il contrasto delle volontà umane (quella di Putin) e con le condizioni oggettive (mancanza di armi). La conseguenza è che le istituzioni deviano spesso dai loro scopi originari, sviluppando nuove motivazioni che, talvolta, rappresentano un tradimento degli ideali di partenza. Robert Michels ha messo a fuoco questo fenomeno, studiando il Partito socialdemocratico tedesco che, nato per difendere la democrazia, diventa un’oligarchia.

Secondo Michels, la forza dei lavoratori è nell’organizzazione. I deboli possono sperare di battere i forti soltanto unendosi. I forti possono combattere in pochi perché hanno le risorse, mentre i deboli devono combattere in tanti perché hanno il numero. Dunque, i lavoratori hanno bisogno di un apparato di funzionari che coordini le proteste contro i capitalisti in virtù delle sue competenze tecniche. Il risultato è che tutti i poteri decisori della massa vengono trasferiti ai dirigenti, rendendo illusorio l’esercizio democratico. Si verifica così un fenomeno paradossale: se aumenta il potere dell’organizzazione, aumenta anche il potere dei capi sindacali e di partito, i quali si distaccano dai luoghi produttivi e dalle masse, abituandosi a una vita di privilegi. Michels ha riassunto la sua “legge ferrea dell’oligarchia” nel suo capolavoro, La sociologia del partito politico nella democrazia moderna (1911): “Chi dice organizzazione dice tendenza all’oligarchia. È insito nella natura stessa dell’organizzazione un elemento profondamente aristocratico. Il meccanismo dell’organizzazione, mentre crea una solida struttura, provoca nella massa organizzata mutamenti notevoli, quali il totale capovolgimento del rapporto del dirigente con la massa e la divisione di ogni partito o sindacato in due parti: una minoranza che ha il compito di dirigere ed una maggioranza diretta dalla prima”. Simmel ha messo a fuoco lo stesso fenomeno, citando il caso del diritto. I bisogni della vita creano il diritto per codificare certi comportamenti, ma poi il diritto sviluppa una logica interna indipendente dai bisogni della vita, secondo il motto fiat iustitia, pereat mundus (sia fatta la giustizia e perisca pure il mondo).

Parlare di eterogenesi dei fini per chiarire il fallimento dell’Unione europea è un po’ assolutorio giacché ciò che sta accadendo in Ucraina era prevedibile. Scoppiata la guerra, questa rubrica invocava una trattativa con Putin sulla base di tre previsioni: 1) La Russia sovrasterà l’Ucraina; 2) gli Stati Uniti e la Russia si metteranno d’accordo scavalcando l’Europa; 3) L’Italia riceverà soltanto danni. Davanti a questo fallimento smisurato, la strategia annunciata da Kaja Kallas nel discorso del 22 gennaio 2025 assume un senso: operare affinché l’Ucraina combatta il più a lungo possibile così da dare all’Unione europea il tempo di riarmarsi. Gli effetti secondari dell’agire hanno modificato gli scopi originari: l’Unione europea si era lanciata nella guerra per salvare l’Ucraina, ma adesso lavora alla sua distruzione prolungando la guerra a tutti i costi, anche per non ammettere la sconfitta. Povera Ucraina, vittima sacrificale di un’Europa fallita.


Corruzione negli appalti NATO: mandato d’arresto per un italiano legato a Israele


(Enrica Perucchietti – lindipendente.online) – La Procura federale belga ha emesso un mandato di arresto internazionale per corruzione e associazione a delinquere su un consulente e imprenditore italiano sessantenne, Eliau Eluasvili, sospettato di aver agito per conto della più grande azienda israeliana di tecnologia militare e difesa, Elbit Systems, in alcuni importanti contratti finiti sotto inchiesta stipulati con la NATO Support and Procurement Agency (NSPA). L’Agenzia di supporto e approvvigionamento della NATO è da tempo al centro di un vasto scandalo di corruzione, con personale attuale ed ex funzionari sotto inchiesta in Belgio e Lussemburgo.

L’indagine, coordinata dalla procura federale belga con la collaborazione di altre giurisdizioni europee, ha preso di mira una serie di appalti assegnati da NSPA a Elbit Systems che, oltre a essere un fornitore chiave in numerosi programmi NATO, è il più grande produttore di armi di Israele, con un fatturato di quasi 7 miliardi di dollari nel 2024. Con sede a Haifa, realizza droni, munizioni, sistemi per carri armati e altre tecnologie militari, collocandosi al 25° posto tra le cento maggiori aziende della difesa globale secondo il recente rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI). Negli ultimi dieci anni, ha fornito alla NATO equipaggiamenti per decine di milioni di euro – dalle munizioni ai visori notturni, fino ai sistemi antimissile per l’aviazione – ma il valore reale dei contratti potrebbe essere più elevato, poiché molti accordi e importi restano coperti da riservatezza. Contattata sulle accuse, l’azienda nega qualsiasi responsabilità, tuttavia, l’intreccio tra relazioni personali di lunga data, consulenze esterne e contratti multimilionari restituisce l’immagine di un sistema in cui il confine tra lobbying lecito e scambio di influenze diventa labile, affidato a reti opache costruite nel tempo. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Eliau Eluasvili avrebbe operato come intermediario, corrompendo dirigenti e funzionari dell’agenzia attraverso società di consulenza di sua proprietà o controllo, con l’obiettivo di assicurare a Elbit incarichi per forniture militari. Il 31 luglio 2025 la NSPA – su basi investigative trasversali – ha sospeso Elbit da tutte le gare d’appalto in corso e ne ha congelato i contratti attivi.

Secondo i documenti acquisiti da testate investigative come Follow The Money (Ftm) e da media partner in Belgio e Paesi Bassi, le tangenti pagate, riferite a più contratti, potrebbero valere somme nell’ordine di milioni di euro. Diversi sospettati sono stati arrestati a maggio durante raid della polizia in sette Paesi, tra cui Belgio e Stati Uniti, segno che il sospetto sistema corruttivo era ramificato a livello internazionale. L’indagine ruota anche attorno a una rete di ex funzionari NSPA diventati consulenti, accusati di aver sfruttato la loro posizione per facilitare appalti a favore di specifiche aziende. Fra loro figura il belga Guy Moeraert, ex dirigente NSPA assegnato al programma munizioni, agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico dopo sei mesi di carcere, con accuse che vanno dalla corruzione al riciclaggio. Sotto indagine anche l’imprenditore turco Ismail Terlemez, ex agente NSPA e attuale amministratore delegato di Arca Defense: coinvolto in passato in un’inchiesta dell’FBI su una fornitura di TNT per l’esercito statunitense, è stato arrestato a Bruxelles il 13 maggio e poi rilasciato a luglio, dopo il ritiro delle accuse da parte del Dipartimento di Giustizia USA. Eluasvili, invece, è ancora latitante e si suppone che abbia cambiato identità.

La vicenda crea forte imbarazzo nelle capitali europee e svela la doppia morale della corsa al riarmo: mentre si invocano trasparenza, sicurezza e valori comuni, emerge un sistema segnato da scandali legati al “malaffare della guerra“, capace di innescare frizioni politiche e diplomatiche e di incrinare la fiducia nelle procedure di appalto dell’Alleanza. L’indagine potrebbe avere un effetto domino su altri grandi appalti militari in Europa, spingendo i governi e l’Alleanza a una revisione complessiva dei meccanismi di controllo, con ricadute anche sul piano diplomatico, in un contesto di fragilità globale, dove il tema del riarmo è già al centro di tensioni internazionali.

Tangenti Nato, caccia a un italiano. Sospeso il colosso israeliano Elbit

Bruxelles. La Procura federale vuole arrestare Eluasvili, con cognome georgiano e passaporto nostro. Stop ai contratti

(di Nicola Borzi e Cosimo Caridi – ilfattoquotidiano.it) – Sono state sospese tutte le commesse Nato alla maggiore azienda israeliana della difesa: Elbit Systems. Il sito investigativo Follow the Money con La LettreLe Soir e Knack ha ricostruito un presunto sistema di corruzione al centro di un’inchiesta della Procura federale del Belgio, che ha condotto al blocco degli ordini. È un cittadino italiano l’uomo chiave dell’inchiesta: Eliau Eluasvili, nome ebraico, cognome georgiano, passaporto del nostro Paese, 60 anni, titolare di società della difesa che operano in più Paesi. Consulente per Elbit, è accusato dai magistrati di Bruxelles di aver agevolato tangenti per garantire contratti e ricercato a livello internazionale, ma non in Italia, dove non risulta ci sia una red notice Interpol a suo carico.

Lo scandalo cade in un momento di forte espansione degli appalti militari: dopo l’invasione russa dell’Ucraina l’agenzia Nato per gli approvvigionamenti (Nspa) ha visto i suoi contratti triplicare rispetto al 2021, per un valore stimato quest’anno in circa 9,5 miliardi di euro. Secondo fonti investigative, il 31 luglio l’agenzia Nspa ha sospeso Elbit Systems e la sua controllata Orion Advanced Systems. Diversi contratti in corso sono stati congelati; tutte le gare nuove sono precluse all’azienda. Contratti legati a forniture di munizioni per obici semoventi, sistemi di artiglieria mobile, sistemi difensivi per aerei e elicotteri, e detonatori esplosivi prodotti da Orion – potenzialmente utili a decine di eserciti Nato – sono coinvolti nel blocco.

La sospensione consegue alla scoperta di “gravi irregolarità” nelle procedure di assegnazione degli appalti, secondo una lettera interna alla Nspa. Gli inquirenti sospettano che società di difesa abbiano pagato tangenti attraverso consulenti e intermediari per ottenere contratti strategici. Il 30 settembre scorso la procura federale del Belgio ha emesso un mandato di arresto internazionale contro Eluasvili per corruzione attiva e partecipazione a un’organizzazione criminale. Risulta irreperibile, potrebbe muoversi sotto falsa identità. Il 60enne sarebbe proprietario o direttore di diverse società di consulenza nel settore difesa: Elar Systems Corp negli Usa, Eral Systems in Lituania, Arelco Europe Management Consultancies in Grecia. Oltre a queste, nel registro delle imprese britannico compare una società, oggi dissolta, la Alkyone Trading, nella quale Eluasvili era in affari con manager tedeschi oggi alla guida di società olandesi che producono sistemi di criptazione di livello militare per gli archivi digitali e hanno tra i loro clienti la Nato, alcuni ministeri della Difesa europei e importanti multinazionali. Tra i soci di Eluasvili a Londra compariva anche un imprenditore turco. Altre imprese in Svizzera e Liechtenstein sono collegate a un indirizzo di posta elettronica usato da Eluasvili, ma non è chiaro se siano coinvolte. Su Linkedin si trova un Eliau Eluasvili che risulta proprietario di un’azienda mineraria: Oreko Mining con sede a Istanbul, forse però aperta e chiusa in breve tempo.

La Turchia conta molto in questa storia. Eluasvili era residente lì e, secondo fonti vicine all’inchiesta, sarebbe stato in stretto contatto Guy Moeraert, ex funzionario belga di Nspa diventato consulente dopo il 2021. Moeraert è accusato di aver ricevuto tangenti per circa 1,9 milioni di euro in cambio di documenti riservati e informazioni sui bandi. Arrestato il 12 maggio 2025 all’aeroporto di Bruxelles, è stato rilasciato con il braccialetto elettronico il mese scorso. I rapporti investigativi indicano che Moeraert ed Eluasvili sarebbero stati messi in contatto da Ismail Terlemez, altro ex agente Nspa di origine turca, oggi co-proprietario dell’azienda turca Arca Defense. Terlemez era stato arrestato a Bruxelles in maggio e rilasciato a luglio, dopo che le autorità statunitensi – che lo indagavano per una presunta tangente legata a contratti per esplosivi Tnt per conto del Pentagono – avevano improvvisamente fatto cadere le accuse e la richiesta di estradizione.


Invece di votarli, i guerrafondai, mandateli tutti al fronte


(Giancarlo Selmi) – Nella logica armamentista risiede praticamente tutta l’attuale politica italiana. Escludendo il Movimento 5 Stelle con il suo leader Giuseppe Conte e poche altre eccezioni, tutti sono concordi nel ritenere urgente e necessario il riarmo. Il nostro ministro della difesa ha cominciato a parlare di “leva” volontaria, distruggendo il significato della parola leva, non perché non ne conosca il significato, ma con l’intento di abituare la gente all’eventualità della guerra.

Tutto avviene poco a poco, come si inserisce una supposta di grandi dimensioni. Scusate la volgare metafora, ma è l’unica che mi viene in mente. Il ministro della difesa fino a tre anni fa rappresentava le industrie delle armi, era un piazzista, un venditore di armi, oggi le compra lui stesso con i soldi dello stato. Lui stesso firma le commesse. È accompagnato, nella sua campagna subliminale e di marketing, a giustificazione degli acquisti, dalla intera informazione televisiva e stampata (con l’eccezione di Travaglio e delle illuminanti analisi di Caracciolo e di Orsini).

Con l’intervento di conclamati guerrafondai, di diffusori seriali di minchiate atomiche, di opinionisti al soldo dei produttori di morte. Come definire la Signora Tocci, presidente o direttore di un centro studi di geopolitica, che svolge la sua opera intellettuale a supporto della necessità e ineludibilità del riatmo, in tutte le televisioni? Visto che il centro che le paga lo stipendio ha come principale finanziatore un’industria delle armi che si chiama Leonardo? Non è la sola, purtroppo.

Sono stato chiamato integralista perché ho scritto che Giuseppe Conte è oggetto di una ostile, massiva e aggressiva campagna di stampa. Da parte, soprattutto, delle penne, degli opinionisti e perfino di chi fa satira, che hanno come area di riferimento quella della destra PD. Ho chiesto di confutare le mie affermazioni, non lo hanno fatto. Per un motivo: non lo possono fare perché è vero. Conte costituisce un baluardo per chi ripudia la guerra e per l’articolo 11 della nostra Costituzione che si sta oltraggiando.

Ed è un riferimento per chi pensa che sia prioritario difendere il potere di acquisto dei salari, il diritto alla salute e la qualità della sanità pubblica, il diritto alla educazione e la qualità della scuola. Che sia prioritario, insomma, difendere la qualità della vita degli italiani, la competitività delle nostre imprese e non mandare tutti in guerra contro nemici immaginari o nemici che dispongono della miseria di 6.000 testate atomiche. Perché quando i soldi per le armi si trovano, è assolutamente logico pensare che si possano trovare per il resto.

E nel resto ci sono anziani che non si curano più, fragilità varie, disabili e tanta, troppa gente che non mette insieme il pranzo con la cena. Invece di votarli, i guerrafondai, a cominciare da quelli al governo, mandateli tutti al fronte.


Meloni la volenterosa, con Zelensky, la Ue (e Trump). La trincea di Crosetto contro la propaganda “no Difesa”


La premier sente i volenterosi e oggi vede il presidente ucraino a Palazzo Chigi. E intanto montano i timori del governo sulle trasmissioni che fanno disinformazione sull’aumento delle spese militari. Le tre date per il decreto Ucraina

(Carmelo Caruso – ilfoglio.it) – Non resta che dirci “crosettiani”. Meloni si collega con i volenterosi, Zelensky arriva oggi a Palazzo Chigi. Siamo giunti al momento Crosetto: difesa o resa. Per rovesciare il racconto “Meloni, con chi stai?”, “Meloni, in mezzo, fra Trump ed Europa”, Meloni partecipa alla riunione con Starmer, Macron, Merz, il formato E3 (Gran Bretagna, Francia, Germania) che riceve a Londra, Zelensky. Tajani vorrebbe ancora più Europa. Crosetto, quando ha letto la strategia americana, il paper di Trump (europei, arrangiatevi!) ha scambiato messaggi  con gli omologhi della Difesa: “Vediamoci, presto”. Si lotta contro la volontà di impotenza. Per dimostrare a Zelensky che l’Italia sta dalla parte di Kyiv, nel Cdm di giovedì, il governo ha la possibilità di inserire il decreto Ucraina che va approvato entro il 31 dicembre. I Cdm previsti, quelli che restano, sono uno il 22 e l’altro il 27 dicembre. Se chiedete a Palazzo Chigi vi risponderanno che “inserirlo già questo giovedì è una possibilità, ma c’è Salvini”. E’ sempre la Lega il migliore alibi di Meloni e Meloni mai come ora ha interesse a tifare Ue. L’Europa si avvicina a Meloni. I ministri dell’Interno raggiungono l’intesa sull’immigrazione, sui paesi terzi sicuri, e FdI può dire che in “Europa passa la nostra linea”. Il ministro Piantedosi rilancia sui centri in Albania (“che si ricandidano con forza a essere attivi su tutte le funzioni per i quali sono  stati concepiti”) e parla di “svolta Ue, come chiedeva l’Italia”. Non è la migliore Europa possibile, ma è l’unica che abbiamo e Meloni prova a rimanerci agganciata. E’ Europa in  senso vasto. Al governo si  guarda alla Gran Bretagna di Starmer  che per Crosetto ha già preso il ruolo di faro dell’occidente. Meloni sull’Ucraina teme l’opinione pubblica manipolata dalle televisioni commerciali italiane. Sono televisioni, pensano a Chigi, e pensano anche al ministero della Difesa, che “scoraggiano le spese militari con numeri artatamente gonfiati”. Il resto lo fa Trump. Per Meloni  le parole di Trump    sarebbero quasi una provocazione, un modo per convincere l’Europa ad accelerare sulla spesa militare. Nel comunicato ufficiale, dopo la telefonata con i volenterosi, per il governo  è “fondamentale aumentare il livello di convergenza sui temi che toccano gli interessi vitali dell’Ucraina e dei suoi partner europei”. La priorità sono le garanzie. Dice Meloni in privato: “Non mi interessano gli eccessi di comunicazione, voglio la certezza che la Russia si fermi con l’invasione”. 

Si riferisce agli eccessi di Trump, all’arrangiatevi. Tajani, che se potesse risponderebbe per le rime a Elon Musk che paragona l’Europa al Quarto Reich (a proposito, su Musk, tace Salvini, ma non è una notizia), è tra quelli che spingono Meloni ad avere una posizione ancora più europeista. Nel comunicato, diffuso da Chigi, si scrive che Meloni ha posto “l’accento sull’importanza dell’unità di vedute tra partner europei e Stati Uniti per il raggiungimento di una pace giusta e duratura”. Sta spiegando a Tajani che è lei l’unica a dialogare con Trump fra i leader europei e che questo dialogo farà la differenza . Quando Meloni parla con i suoi ripete invece che “io voglio fare l’interesse dell’Ucraina. Dobbiamo avere la certezza che Putin rispetti l’accordo. Abbiamo bisogno di prove tangibili che Putin non provi a rifarlo”. E’ il passaggio del comunicato  dove si scrive che fondamentale resta “la definizione di solide garanzie di sicurezza e l’individuazione di misure condivise a sostegno dell’Ucraina e della sua ricostruzione”. Meloni non vuole passare per equivicina. Nel pacchetto di aiuti per l’Ucraina ci sono 140 milioni sotto forma di generatori elettrici. Oggi verrà ribadito a Zelensky il sostegno italiano e giovedì Crosetto si confronterà con i suoi omologhi. Sarà una riunione allargata. Parteciperà l’Alto rappresentante per gli Affari europei, Kallas, e il commissario per la Difesa Kubilius. Per Meloni e Crosetto va adesso superato un dazio culturale. Va spiegato all’opinione pubblica italiana che gli investimenti in difesa sono una necessità storica. Le parole di Trump, sull’Europa, sono per il governo nient’altro che il grande addio annunciato già ai tempi dell’amministrazione Obama. Per il ministro della Difesa è la fine di una lunga luna di miele fra Ue e America. L’Italia, lo pensano sia Crosetto sia Meloni, sconta una politica di imbarazzo che riguarda la Difesa. Finora ci sarebbe stata quasi una repulsione, una comunicazione che ha mistificato l’aiuto a Kyiv. Salvini fa il resto. A Palazzo Chigi si punta il dito contro le trasmissioni d’informazione, modello Tele Vladivostok, programmi di prima serata di giornalisti ritenuti sobri che cantano lo spartito: si spende in armi, ma non in ospedali. Si moltiplicano e sono il megafono di Forza resa, di chi mescola l’occidente con i cessi d’oro, casi di corruzione con “basta aiuti all’Ucraina”. La fortuna di Meloni è avere Crosetto. E’ lui la nuova voce di Radio Londra.


Fare dell’Ue una colonia commerciale: ecco il vero obiettivo Maga


La tensione tra Usa ed Europa non riguarda l’influenza sulle Americhe ma l’economia globale. Se i nostri politici non comprendono il ruolo strategico dell’Unione nella nostra sovranità democratica, i nostri paesi diventeranno molto presto colonie del Nuovo Mondo

(Nadia Urbinati – editorialedomani.it) – Il documento sulla strategia nazionale presentato al mondo da Donald Trump non è un documento classico di politica internazionale. È un piano di politica commerciale coloniale. Il cuore del documento è costituito dagli affari commerciali (Silicon Valley) che hanno in mano la Casa Bianca. La spolverata ideologica contro l’immigrazione a difesa del primato culturale occidentale (leggi: razza bianca angloamericana — Wasp) completa il documento. Ai pochi gli affari, ai molti l’ideologia nazional-imperiale. Proteggere gli interessi dell’high-tech e il mito dell’America First and Great. Vecchio e nuovo si tengono nel sogno americano di oggi.

Nuova dottrina Monroe

Gli esperti di politica strategica sono delusi. Il documento non dice molto. Per esempio, non indica la strategia degli Usa per porre fine alla guerra in Ucraina, salvo affidare le sorti della regione alla Russia, agente riconosciuto della pace. È poi a dir poco straordinario che un documento sulla sicurezza nazionale non faccia parola delle relazioni militari tra Usa e Cina, che taccia delle strategie per contenere la produzione di armamenti. Le molte pagine dedicate alla Cina riguardano solo le relazioni commerciali. Trump giustifica i silenzi così: «Non tutti i paesi, le regioni, le questioni o le cause, per quanto meritevoli, possono essere al centro della strategia americana».

Quali questioni e quali regioni? Le questioni commerciali e due regioni: le Americhe e l’Europa. In entrambi i casi, lo scopo è il controllo coloniale. Trump riadatta la Dottrina Monroe, per quel suo sapore anti-europeo e imperiale. Il 2 dicembre 1823, il Presidente James Monroe, nello Stato dell’Unione intervenne sulla condizione delle colonie spagnole nelle Americhe, che avevano raggiunto l’indipendenza, e sfidò il Vecchio Mondo a stare fuori dal Nuovo Mondo, definendo le sfere d’influenza degli States e dell’Europa.

Oggi, Trump ribadisce la posizione sul Nuovo e sul Vecchio Mondo: l’interesse degli Usa sta nel controllo militare sulle acque e sui paesi delle Americhe e nel controllo commerciale dell’Europa. La lettura nazionalista della “new Monroe Doctrine” non è esoterica. Il nazionalismo americano, crudo e violento, aggressivo e razzista verso i popoli detti con disprezzo “latinos”, si ripropone secondo il mito Maga: mezzi militari ed esercito impiegati per combattere l’immigrazione (il traffico di droga, appendice ridicola ma giustificativa).

Il bacino di consumo

In questa cornice, si inserisce l’Europa. Non prendiamo abbagli: la tensione con il Vecchio Mondo non riguarda l’influenza sulle Americhe ma il commercio globale. Nell’Ottocento, lo scopo era tenere in mano il potere estrattivo delle risorse naturali dei paesi americani.

Oggi, lo scopo è tenere in mano il bacino di consumo dell’Europa. L’Europa deve diventare un mercato per i prodotti high-tech statunitensi. Una colonia, come le Americhe. Elon Musk, l’amico di Giorgia Meloni, ha tuonato contro l’Ue: deve sciogliersi perché mette limiti all’espansione commerciale; meglio relazionarsi con i singoli stati, impotenti, come quelli del Centro America.

L’ideazione e l’implementazione dell’Ia generativa sono oggi un ambiente altamente anticoncorrenziale, in mano agli oligopoli e direttamente coinvolti nella produzione di “oggetti” civili e militari – dall’amministrazione pubblica, agli strumenti di persuasione, ai droni di distruzione delle reti informatiche e di trasporto.

La nuova guerra non si vede. Ma è l’unico grande affare. Il fatto dirompente è l’asimmetria di potere che si ha nella preparazione e conduzione dell’agenda di ricerca dell’Ia generativa, che, dice la Ue, quando si occupa di beni o “oggetti” pubblici deve seguire la stessa logica di responsabilità pubblica di tutte le altre forme di azione e intermediazione che hanno un impatto sulla vita e la libertà della popolazione (così è per esempio per le agende di ricerca nel settore della farmaceutica o dell’energia). È proprio contro questa idea del pubblico che limita la ricerca e la produzione delle aziende di Silicon Valley che la nuova dottrina della sicurezza americana è mobilitata.

L’Ia generativa non è “solo un altro settore” che influenzerà tutti i settori della vita, né è “una tecnologia neutrale”. Ha bisogno di diversi fattori insieme: di essere alimentata da dati (e quindi dagli utenti) e di essere implementata mediante strutture che – oggi – solo gli stati possiedono (nel settore civile e militare).

Ecco perché le piattaforme di cloud computing dei gatekeeper, come Amazon Web Services, Microsoft Azure e Google Cloud, hanno come obiettivo centrale e primario la demolizione dell’Unione europea, l’unico organismo che oggi cerca di limitare la colonizzazione. Se i nostri politici non comprendono il ruolo strategico dell’Ue nella nostra sovranità democratica, i nostri paesi diventeranno molto presto colonie del Nuovo Mondo e noi, insignificanti individui senza futuro, come ha detto Trump.


È anche la mia bandiera


(di Michele Serra – repubblica.it) – Questa è la bandiera dell’unione delle nazioni più libere, pacifiche e democratiche del mondo. È anche la mia bandiera». Sono le parole con le quali il vecchio europeista Jacques Attali ha rilanciato, su X, una campagna di orgoglio europeo che sta raccogliendo decine di migliaia di adesioni, in risposta al disgustoso post di Elon Musk che ha accostato la bandiera blu-stellata a quella del Terzo Reich (proprio lui: che finanzia i nazisti). Gli fa eco Daniel Cohn-Bendit: «Il patto Trump-Putin è come il patto Molotov-Ribbentrop, l’Europa deve reagire federandosi».

Sembra di tornare allo spirito della «manifestazione blu» del 15 marzo a Roma, identica è l’opposizione ai due boss dell’Est e dell’Ovest, identico il richiamo ai valori costitutivi dell’Unione. Ma allora come oggi è uno spirito al tempo stesso di speranza e di disillusione (uno spirito-ossimoro, dunque). Perché gli europei esistono, ma la politica è incapace di dare forma al loro richiamo all’unità. Mi chiedo quanti esponenti politici di rilievo sapranno schierarsi, con la stessa autorevolezza e nettezza di Attali e Cohn-Bendit, contro la volgarità sprezzante che i due gemelli diversi, Trump e Putin, dimostrano nei confronti dell’Europa e della democrazia (concetti, in questo momento storico, quasi del tutto coincidenti).

In tutti questi mesi nulla è cambiato, se non in peggio. Da un lato impotenza e timidezza dei leader nazionali che avrebbero il compito – quelli che ci credono – di accelerare il processo unitario; dall’altro l’opposizione anti-europea interna all’Europa. Ovvia quella dei sovranisti (compresa Meloni, trumpiana per Dna). Triste e autolesionista quella “di sinistra”, una specie di Fronte del Senso di Colpa che in ogni atto di orgoglio europeista vede l’ombra del colonialismo e – i più faziosi – del suprematismo bianco. Ad altri, più banalmente, della democrazia non importa nulla.


Giorgia, la lobbista di Trump


MELONI, IMPORTANTE UNITÀ EUROPEI-USA PER LA PACE IN UCRAINA

(ANSA) – La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha partecipato oggi pomeriggio a una videoconferenza con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e altri leader europei “per un nuovo punto della situazione sul percorso di pace in Ucraina alla luce degli ultimi colloqui tra le delegazioni americana e ucraina e in vista della visita che il Presidente Zelensky si appresta a compiere domani a Roma”.

Lo riferisce una nota di Palazzo Chigi, spiegando che la premier “ha nuovamente posto l’accento sull’importanza dell’unità di vedute tra partner europei e Stati Uniti per il raggiungimento di una pace giusta e duratura in Ucraina”.

P. CHIGI, PER LEADER FONDAMENTALE CONVERGERE SU GARANZIE SICUREZZA

(ANSA) –  “Fondamentale in questo momento, ad avviso dei leader riuniti, è aumentare il livello di convergenza su temi che toccano gli interessi vitali dell’Ucraina e dei suoi partner europei, come la definizione di solide garanzie di sicurezza e l’individuazione di misure condivise a sostegno dell’Ucraina e della sua ricostruzione”.

Lo riferisce una nota di Palazzo Chigi dopo la call, a cui ha partecipato anche la premier Giorgia Meloni, con altri leader europei e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

VON DER LEYEN, ‘SOSTENERE KIEV CRUCIALE, USARE BENI RUSSI’

(ANSA) –  “Questo pomeriggio si è tenuta una riunione della Coalizione dei volenterosi. Ho aggiornato il presidente Zelensky e i leader presenti su due priorità fondamentali: il sostegno all’Ucraina e il rafforzamento della preparazione della difesa europea.

Sappiamo tutti cosa c’è in gioco e sappiamo che non c’è più tempo da perdere. Garantire il sostegno finanziario contribuirà a assicurare la sopravvivenza dell’Ucraina ed è un atto cruciale per la difesa europea. La nostra proposta di prestito per le riparazioni è complessa, ma in sostanza aumenta il costo della guerra per la Russia”. Lo scrive su X la presidente della Commissione Ursula von der Leyen.

VON DER LEYEN, ‘LA DIFESA DELL’EUROPA È NOSTRA RESPONSABILITÀ’

(ANSA) – “Sappiamo che la difesa dell’Europa è una nostra responsabilità. Continuiamo ad andare avanti con urgenza, nell’attuazione della nostra tabella di marcia per la prontezza, nella mobilità militare e nelle nostre navi ammiraglie paneuropee”. Lo scrive su X la presidente della Commissione Ursula von der Leyen dopo la riunione della coalizione dei Volenterosi.

“Stiamo ancora esaminando i piani Safe ricevuti dagli Stati membri” e “l’Ucraina è inclusa in 15 dei 19 presentati”, ma “non si tratta solo di soldi”: “non si tratta solo di soldi – evidenzia von der Leyen -: l’Ucraina sta imparando lezioni duramente apprese sul campo di battaglia e noi stiamo imparando con loro. Integrando le nostre basi industriali di difesa, stiamo costruendo una forte deterrenza, per oggi e per domani”.

VON DER LEYEN, ‘MOSCA NON VUOLE LA PACE, NOI UNITI CON KIEV’

(ANSA) –  “Mentre l’Ucraina si impegna in autentici sforzi diplomatici per la pace, la Russia continua a ingannare e a prendere tempo. Prendendo in giro la diplomazia e aumentando gli attacchi, fingendo di cercare la pace. Oggi, quella facciata rimane saldamente al suo posto. Ma non ci cascheremo, sappiamo chi è l’aggressore e chi è la vittima in questa guerra”. Lo scrive su X la presidente della Commissione Ursula von der Leyen dopo la riunione della coalizione dei Volenterosi.

“La brutale guerra della Russia ha cercato di dividerci, ma ha ottenuto l’effetto opposto – aggiunge -. I nostri legami sono più forti che mai. Non siamo legati solo da interessi difensivi, ma anche dai nostri valori comuni. Ed è così che procederemo. Uniti, nel sostenere l’Ucraina e nel difendere l’Europa”


Io ballo da sola


Il solipsismo cieco di una Europa che non sa più vedere.

(Gianvito Pipitone) – Ci deve essere davvero qualcosa di guasto in questa Europa – o forse una polverina nefasta che aleggia sopra Bruxelles – se l’Alto Rappresentante per la politica estera, Kaja Kallas, arriva a dichiarare che “gli Stati Uniti sono ancora il nostro più grande alleato”. Lo ha detto al Doha Forum, il 6 dicembre 2025, proprio mentre la nuova National Security Strategy americana bollava l’Europa come un continente in declino, a rischio di “cancellazione della sua civiltà”.

Non è un dettaglio: il documento firmato da Donald Trump definisce l’Europa tecnicamente un avversario, accusandola di “aspettative irrealistiche sulla guerra in Ucraina”. Eppure Kallas, come immersa in uno dei suoi surreali viaggi onirici (per noi dal sapore di incubo), ha scelto di minimizzare, insistendo che “dobbiamo restare insieme”. Una postura che non sa di realismo, ma di naif, o di arrogante testardaggine, incapace di leggere la durezza del contesto attuale.

Non ha forse sentito Kallas che, dall’altro lato, Putin ha applaudito alla scelta degli Stati Uniti di riposizionarsi come paese non ostile alla Russia? Il presidente russo ha parlato di “pragmatismo e realismo” nella nuova amministrazione americana, esprimendo “speranza” per un reset delle relazioni.

E allora, come si può continuare a credere che l’Europa, isolata e fragile, possa ancora vincere una guerra che gli stessi (ex) alleati considerano un peso? Parlare così non è più ingenuità, né colpevole arroganza: è ostinazione cieca, un incedere sconsiderato che alla lunga si rivelerà fatale. Per la sua e la nostra stessa esistenza.

La misura è davvero colma stavolta. Non si tratta di un errore di comunicazione, ma di un segnale politico devastante: l’Europa insiste a proclamare alleanze che non esistono più, mentre dall’Est e dall’Ovest arrivano le arpie pronte a banchettare sul suo corpo istituzionale.

Il paradosso è che, proprio ora che l’Europa è rimasta sola, sarebbe un azzardo sfiduciare Ursula von der Leyen e l’intero cucuzzaro di Bruxelles: significherebbe consegnare le chiavi direttamente a Trump e Putin. Ma continuare a sostenere questa direzione equivale a prestare il fianco a chi, fuori e dentro, lavora per smantellare ciò che resta del progetto europeo.

Una cosa è certa: questa Europa non può più permettersi di vivere di illusioni. Né di giocare con il fuoco nemico. Le parole di Kallas, le minacce di Trump e l’applauso di Putin compongono un triangolo che dovrebbe far tremare i palazzi di Bruxelles. E invece, si continua a recitare la parte di chi non vede.

L’Europa ha bisogno di un passo indietro, abbandonando la postura guerrafondaia, se non vuole scomparire dalla faccia della terra. La minaccia di Trump è stata chiara: davvero abbiamo ancora bisogno di conferme dai nostri ex amici?

Occorre piuttosto invertire la rotta e lavorare a testa bassa per cambiare postura. Far emergere le capacità diplomatiche e usare il soft power per una buona ragione. Allo stesso tempo – come si è lasciato scappare Crosetto sui giornali in questi giorni -cominciare a diversificare la nostra strategia di difesa con un supporto esterno: Africa, paesi arabi, Giappone, India, perfino Cina. Diversificare strategicamente, senza più nasconderlo. Ammesso che Crosetto si riferisse all’Europa e non alle singole nazioni … Da soli, infatti, non si va più da nessuna parte. Spero che almeno questo sia chiaro ai singoli leader dei paesi europei.

Sarà probabilmente questo il nodo da affrontare nell’immediato futuro. Da europeista, anche se profondamente deluso, una chance all’Europa vorrei ancora darla. Anche se oggi non si intravedono nomi né figure in grado di salvarla, mentre il nazifascismo – annidato dentro l’Europa e da sempre solleticato da Trump – incombe minaccioso sulle democrazie già provate. Basti ricordare che, proprio questa settimana, come riporta Der Spiegel, una delegazione di AfD – il partito di estrema destra tedesca – è volata a Washington per consolidare i rapporti con i repubblicani vicini a Trump.

Insomma troviamo un gran bel regalo sotto l’albero di Natale, quest’anno. Non c’è che dire. Vae victi, diceva qualcuno. E non aveva tutti i torti.


Fino a quando?


(Dott. Paolo Caruso) – “Quousque tandem, Catilina, abutere patientia nostra?”. Così parlò Cicerone, ai Senatori romani, contro lo sciagurato Catilina, che attentava all’unità della Repubblica. Oggi quel personaggio lo incarna pienamente Trump, che continuamente umilia la nostra dignità. Vuole che la già fragile Unione Europea si sciolga, definendola fallita ed entro i prossimi vent’anni inesistente. Suo motto è l’ antico “Dividi et impera ” ( dividi e comanda ). Così fa, approfittando delle divisioni dei Paesi della UE utilizzando le sponde sovraniste, pronte a “scroccare” miliardi di euro, e poi a logorare le stesse Istituzioni dall’interno. Purtroppo dopo secoli di storia l’orgoglio civico di Cicerone non è più riscontrabile meno che mai nella Presidente della Commissione europea, Ursula von Der Leyen e nei vertici di Strasburgo. Questi ” Invertebrati ” oltre che subire personalmente lo scherno dal Tycoon, lasciano che oltre quattrocento milioni di cittadini europei vengano umiliati da un farfallone pluri condannato e sciaguratamente rieletto Presidente, nonostante i fatti criminali di Capitol Hill. “Per volere dei MAGA” , si disse, che “vogliono imporre un nuovo ordine mondiale, basato sui princìpi di forza e sul denaro, nel disprezzo più assoluto del diritto e dei valori della persona”. Un ritorno al più becero Medioevo.Trump non fa altro che disprezzare la UE ritenendola colpevole di aver lucrato per anni sull’ alleato americano, e ora continuando a sostenere l’Ucraina ne impedisce la fine del conflitto ostacolandone per di più gli affari con Putin. L’ intesa tra Cina e Russia per Trump rappresenta come il fumo per gli occhi un ulteriore ostacolo alle sue aspettative.
Di questo si rode Trump: i mancati affari! Lo disturbano perciò i Paesi europei, che gli impediscono la tregua da lui proposta. A tal punto sarebbe da auspicarsi finalmente una Unione europea con la schiena dritta, che sappia controbattere parola per parola all’incredibile ex alleato americano, purtroppo oggi però manca “Cicerone” e i politici come la von der Leyen e la Kallas sono solo delle “marionette” servizievoli. La vedo propria brutta ormai. Sui dazi ha indicato il disprezzo per i valori umani. Usò, nel suo stile, termini volgari Irripetibili. La Meloni e Salvini, risparmino l’Italia da ulteriori umiliazioni, e si riconoscano integrati perfettamente nell’Europa, la nostra naturale casa, dove la civiltà del pensiero democratico è nata, per non cadere nell’attuale disprezzo da parte dei despoti dell’intero Pianeta.