La classe dirigente, malgrado il tracollo intellettuale e morale, ha una dote importante. Il senso di appartenenza produce lealtà e solidarietà all’interno, tra i politici, anche se appartengono […]

(di Elena Basile – ilfattoquotidiano.it) – La classe dirigente, malgrado il tracollo intellettuale e morale, ha una dote importante. Il senso di appartenenza produce lealtà e solidarietà all’interno, tra i politici, anche se appartengono a campi avversi, tra analisti, tra diplomatici, funzionari amministrativi, tra giornalisti e guru dei talk show. Nel mondo dell’opposizione alle destre e al centrosinistra a esse molto simile, anche se in genere si riscontra un livello di onestà intellettuale maggiore, non esiste la collaborazione tra piccoli leader, giornalisti, analisti, tribuni ammessi da mamma tv. Si tratta di segmenti schizzati, ciascuno va per sé. Gli oppressi sono monadi che non sfuggono al magnetismo del potere. Come non ricordare l’analisi lucida e disperata di Primo Levi della zona grigia, delle complicità che non salvano gli offesi?
Mi balza agli occhi quotidianamente questa grave debolezza del mondo composito di movimenti e associazioni che condividono la critica alle politiche europee bellicistiche, pronte a una guerra con una potenza nucleare, la Russia, collaborazioniste col criminale di guerra Netanyahu. Se il dissenso fosse unito, se elaborasse anche dal punto di vista teorico un’istanza politica credibile, se cooptasse l’intellighenzia che esiste e lavora nell’ombra, potrebbe attirare il non voto, costituire una speranza per la rifondazione della democrazia. Ogni qualvolta ascolto uno scrittore, un intellettuale, un analista illuminato che, pur tentando di appellarsi alla oggettività delle dinamiche internazionali, si vede obbligato a fare concessioni alla propaganda del regime Nato, pronunciando condanne astoriche di Hamas oppure arrendendosi allo slogan aggredito/aggressore, sento che la zona grigia avanza e ci inghiotte. E allora torniamo a dirlo, nella purezza delle nostre convinzioni, che non c’è nulla di etico nell’immonda difesa della continuazione della guerra in Ucraina da parte delle oligarchie europee. L’Ucraina è stata sin dal 2014 la vittima dei progetti di dominio neoconservatori Usa che volevano pervenire allo smantellamento della Federazione russa. Un Paese è stato utilizzato per un esperimento bellico, un popolo è divenuto carne da cannone. La Russia ha violato il diritto internazionale (annessione della Crimea 2014 e invasione dell’Ucraina nel 2022) in quanto il colpo di Stato a Kiev ha reso evidente che gli oligarchi occidentali avrebbero facilmente posto sotto il loro controllo la base di Sebastopoli, strategica per Mosca dai tempi dello Zar. Dopo sette anni di diplomazia, di presa in giro occidentale (confessata da Merkel e Hollande), degli accordi di Minsk e di guerra civile, di massacri da parte dell’esercito di Kiev di civili russofoni, colpita da sanzioni economiche che altro non sono che la dichiarazione di guerra della Nato a Mosca, la Russia ha invaso l’Ucraina nel febbraio del 2022 per arrivare a un compromesso nel marzo dello stesso anno. Dopo un mese, l’Ucraina, senza perdere territori, avrebbe potuto essere un Paese neutrale e europeo. Le élite globali hanno deciso che essa doveva invece sanguinare per i progetti di dominio di Washington, per salvare il capitalismo piegato dal debito, bisognoso di nuove materie prime. Mosca ha violato le frontiere di uno Stato fantoccio, che aveva ormai rinunciato a rappresentare gli interessi del popolo ucraino, divenendo uno strumento foraggiato di armi, intelligence e mercenari per l’attacco alla Russia. Una guerra esistenziale dunque, quella di Mosca, per difendere la propria sovranità. Il diritto onusiano, sbandierato da noi occidentali per l’invasione della Libia, la responsabilità di proteggere, è stato invocato dalla Russia a cui le popolazioni russofone bombardate si erano rivolte.
Ascolto Tajani e Gentiloni, che ho conosciuto come ministri degli Esteri, invocare la continuazione del sacrificio dei ragazzi ucraini al fronte contro i tentativi di mediazione in corso tra Trump e Putin e mi sembra impossibile che due uomini moderati, miti di carattere, possano sporcarsi le mani di sangue e sostenere la nuova Europa scandinava, baltica, polacca, che ha abbracciato la retorica bellicista del ventennio fascista. I territori, la pace giusta! Il ceto politico, che ho avuto modo di conoscere, ha alcuni tratti comuni, la moderazione e l’obbedienza gerarchica. Soltanto in questo modo si fa carriera, si diviene classe dirigente. Mai si difendono posizioni personali, un’etica personale. Altrimenti si è automaticamente fuori dai circuiti che contano. Come è allora possibile che queste classi dirigenti europee si ribellino all’egemone Trump, e al di fuori del quadro istituzionale della Nato, e in spregio alla Costituzione, caldeggino la guerra? Ritorna la domanda che inquieta: a chi rispondono? Questo il nodo. Le polemiche contingenti, viva la Schlein, abbasso la Meloni, servono a poco se non abbiamo risposte ai quesiti essenziali.

(di Marco Travaglio – il Fatto Quotidiano) – Mancava solo il fermo di Federica Mogherini e dell’ambasciatore Stefano Sannino per corruzione e frode negli appalti, per dare un’idea almeno parziale della Ue con il decisivo contributo dell’Italia. La Mogherini, ministra Pd degli Esteri del governo Renzi con benedizione di Napolitano e poi Alta rappresentante per la politica estera europea pareva già dieci anni fa il punto più basso mai toccato dall’Ue. Ma solo perché non avevamo ancora visto i successori: il “socialista” Josep Borrell […]
Consultazione pubblica rivolta a ragazzi e ragazze tra i 14 e i 18 anni promossa dall’Autorità Garante per l’infanzia e l’Adolescenza allo scopo di indagare le loro percezioni sulla guerra e sui conflitti

(ilsole24ore.com) – Il 68% degli adolescenti di un campione provvisorio di 4.000 non si arruolerebbe se l’Italia entrasse in guerra. E a sorpresa è la televisione e non internet il mezzo da cui si informano. Sono i primi risultati della consultazione pubblica rivolta a ragazzi e ragazze tra i 14 e i 18 anni promossa dall’Autorità Garante per l’infanzia e l’Adolescenza allo scopo di indagare le loro percezioni sulla guerra e sui conflitti. Alla domanda “Se il mio Paese entrasse in guerra mi sentirei responsabile e se servisse mi arruolerei. Quanto sei d’accordo con questa affermazione?” la maggioranza esprime il proprio disaccordo. Tra i maschi la percentuale è del 60,2% e tra le femmine il 73,6%.
“L’iniziativa è stata avviata per colmare un vuoto di informazione sul sentiment degli adolescenti in relazione ai conflitti in corso e allo scopo di fornire alle istituzioni spunti di riflessione” dice l’Autorità garante Marina Terragni. Come ti informi sulla guerra? Quali emozioni provi davanti alle immagini dei conflitti? Cosa pensi del ruolo della tua generazione nella costruzione della pace? Qual è il tuo rapporto con la violenza, la paura e l’idea di responsabilità? Come gestisci i conflitti quotidiani in famiglia, a scuola, tra coetanei e online?
Il questionario si articola in 32 domande ed è stato realizzato nel settembre scorso in collaborazione con la Consulta delle ragazze e dei ragazzi dell’Autorità garante e con il supporto dello psicologo e psicoterapeuta Diego Miscioscia, socio fondatore dell’istituto Il Minotauro, autore di “La guerra è finita Psicopatologia della guerra e sviluppo delle competenze mentali della pace”, e da sempre impegnato nella costruzione della pace, spirito pienamente condiviso da Agia. “Da una primissima analisi dei dati – la rilevazione è ancora in corso sul sito iopartecipo.garanteinfanzia.org e si chiuderà il prossimo 19 dicembre – emerge che la guerra è una delle principali preoccupazioni per i ragazzi: una preoccupazione superiore a quella per il climate change. Inoltre, è la televisione – e non internet o i giornali – il medium a cui prevalentemente si rivolgono per avere informazioni credibili” osserva Terragni.

(Adnkronos) – Botta e risposta tra Carlo Calenda e Alessandro Di Battista, con i riflettori accesi sulla Russia e sulle posizioni dell’ex parlamentare grillino. “Credo che occorra chiarire se Alessandro Di Battista – il cui ‘libro’ riprende il nome della campagna di propaganda del Cremlino in Occidente – sia legato in qualche modo a: società di propaganda russe; aziende che fanno business in Russia”, scrive Calenda in un post su X. “Considerato anche il fatto che è ospite fisso di numerose trasmissioni televisive e che in passato, come Salvini, ha firmato un accordo di collaborazione formale con Russia Unita a nome dei 5S. Ci sono io credo gli estremi per una verifica approfondita degli organi preposti alla sicurezza dello Stato”, aggiunge il senatore, leader di Azione.
“Carletto quindi stai chiedendo agli ‘organi preposti alla sicurezza dello Stato’ di verificare i miei legami con la Russia perché non ti piace il titolo del mio libro? Fantastico”, la risposta di Di Battista, a cui dopo alcune ore segue il nuovo messaggio perentorio di Calenda: “Alessandro, vorrei solo sapere se la propaganda ai russi la fai gratis o pagato. Trasparenza e Onestà insomma, ti ricorda qualcosa?”.
(Alessandro Di Battista) – Il Senatore della Repubblica Carlo Calenda ha appena chiesto “agli organi preposti alla sicurezza dello Stato” di verificare se vi siano legami tra me e la Russia in particolare con “società di propaganda russa” o “aziende che fanno business in Russia” il tutto perché non gli piace quel che scrivo e in particolare il titolo del mio ultimo libro “La Russia non è il mio nemico”. Questi finti democratici sono campioni di tentativi di censura e vili intimidazioni dall’alto dei loro ruoli. Io credo nelle miei idee e scrivo tutto quel che penso intitolando i miei libri come voglio. A Calenda non va giù che vi siano in Italia cittadini che non si sono bevuti le balle Ue e Nato e che hanno il coraggio di esporsi noncuranti delle puerili rappresaglie mediatiche e politiche.
P.S. Nel 2016, Carlo Calenda, da ministro dello Sviluppo economico si recò in Russia e disse queste parole: “Nessuno ha mai chiuso bottega (con la Russia), in qualunque circostanza. Questo credo è il segno di un’amicizia veramente profonda. L’Italia è sempre stata per costruire un rapporto e per lavorare affinché la situazione si normalizzi il prima possibile. Chiaro che sulla questione delle sanzioni c’è un tema preciso che sono gli accordi di Minsk. Però per esempio quello che noi abbiamo fatto e stiamo facendo è di dire attenzione il rapporto con la Russia è molto più grande di questo”.
E quando la giornalista russa di Rossija 1 (il principale canale dell’azienda televisiva statale) domandò a Calenda se il governo italiano avesse subito pressioni per bloccare gli affari con Mosca questi rispose così: “Secondo lei abbiamo ricevuto pressioni? Qui ci sono tutte le grandi aziende, c’è il presidente del Consiglio, c’è il ministro dello Sviluppo economico, ci sono le grandissime imprese, le associazioni di imprese, le banche, più di cosi non potevamo portare. Dovevamo traslocare il Colosseo”. Rammento che questo lo disse dopo che la Russia aveva annesso la Crimea.
Lo storico denuncia la “militarizzazione dell’informazione” che ha trasformato il dibattito sull’Ucraina

(ilfattoquotidiano.it) – “Guerra tra Russia e Ucraina? Da quando Biden decise che bisognava passare dalla guerra strisciante iniziata nel 2014 alla guerra aperta nel 2022, c’è stata la militarizzazione dell’informazione e anche della cultura in maniera molto netta dall’oggi al domani. Questa militarizzazione ha preteso che ci si schierasse, pena l’essere emarginati.” Sono le parole di Luciano Canfora, professore emerito di filologia greca e latina presso l’Università di Bari, durante la presentazione del suo nuovo libro, Il porcospino d’acciaio. Occidente ultimo atto (Laterza), in dialogo con lo storico Armando Pepe.
Da questo nucleo si irradia l’intera analisi dello studioso, che descrive un Occidente avvitato in una retorica bellica capace di colonizzare l’informazione e perfino l’ambiente culturale. Canfora ricorda come, “dal primo giorno della guerra in Ucraina, il 24 febbraio 2022”, i grandi giornali si siano lanciati in una copertura totalizzante e faziosa, “mettendoci dentro tutto il patetismo e la faziosità possibile occultando i dati”: tra questi, la dichiarazione di Papa Francesco secondo cui la Nato “abbaia ai confini della Russia” o le parole pronunciate da Sergio Mattarella a Mosca nel 2017 per invitare a fermare un conflitto che era già in atto.
La rimozione di questi elementi, secondo Canfora, crea un clima che non incoraggia la discussione ma la disciplina.
“Quelli che tentano di spiegare spesso subiscono reprimende aspre e fastidiose – osserva, evocando l’esempio del professor Angelo d’Orsi – Lui, che è un notevole storico italiano, quando per la sua generosità accetta di andare in qualche trasmissione viene letteralmente aggredito o gli viene tolta la parola o appena parla tutti quanti gli danno addosso. Quindi, il clima è da guerra e non mi stupisce che storici più o meno profondi nel loro mestiere si siano voluti collocare come soldati in trincea, ma questo non ha niente a che fare con la ricerca storica”.
E aggiunge episodi personali: “Ricevo spesso lettere da personaggi insospettabili che hanno responsabilità anche di carattere ufficiale. Uno ieri mi ha detto: ‘Sono io che ho perso il senno o finalmente si può dire che la guerra era incominciata in Ucraina nel 2014?’. Io l’ho consolato dicendo che sì, effettivamente ci sono le prove oggettive di questo. Dunque non c’è da stupirsi”.
Lo storico sottolinea: “Del resto, questo è accaduto anche in occasione di altri conflitti epocali. Penso alle coalizioni contro la prima repubblica francese descritta come del luogo del crimine, alle guerre contro Bonaparte, che era definito ‘il tiranno’. Con il tempo questo modo di esprimersi e di giudicare lascerà spazio a menti più fredde”.
Quando Pepe sposta l’attenzione su Gaza, la riflessione assume lo stesso registro critico. Canfora osserva come ogni tentativo di analisi venga subito neutralizzato dall’accusa di antisemitismo: “La cosa non mi sorprende, visto che oggi i principali e più accesi difensori dell’aggressore israeliano sono i partiti di estrema destra“.
Il professore cita il caso di Marine Le Pen, notando la sua paradossale posizione: “Marine Le Pen appartiene a una dinastia apertamente antisemita rispetto alle vicende della seconda guerra mondiale. Allora vuol dire che è cambiato qualche cosa. Non è che la virtù, il dolore o il martirio si ereditano. Ogni generazione risponde per sé – spiega – Le generazioni affiorate al governo dello Stato d’Israele hanno scelto una politica di carattere razzistico e terroristico da quando hanno occupato i territori dopo la Guerra di sei giorni e non li hanno mai mollati. Hanno creato una specie di apartheid in Cisgiordania e tutto questo non può non essere denunciato, parlarne non è antisemitismo, semmai il contrario. Anna Foa ha scritto un bellissimo libro Il Suicidio di Israele, in cui denuncia esattamente questa torsione terroristica dello Stato d’Israele. Parla la figlia di Vittorio Foa, famiglia ebraica, democratica, insospettabile”.
Il dialogo approda poi al cuore del libro. “La origine di questo lavoretto non era propriamente politica, ma storiografica”, spiega Canfora, illustrando il percorso che lo conduce dalle guerre antiche — dai Greci contro Priamo alle guerre persiane, da Cartagine a Cleopatra — fino alle demonizzazioni moderne, dalle letture distorte dell’Impero bizantino alle fratture interne dell’Occidente tra Rivoluzione francese e Prima guerra mondiale. Il concetto di Occidente emerge come “assolutamente prescientifico, propagandistico”, impiegato da chi, di volta in volta, intende aggredire.
È qui che Canfora richiama Arnold Toynbee e il suo Il mondo e l’Occidente, ricordando come tre quarti del pianeta abbiano conosciuto l’Occidente principalmente sotto forma di aggressione coloniale. E indica nella fase attuale una nuova lacerazione: “il presunto sempre molto aggressivo Occidente è dilaniato ancora una volta al proprio interno”.
La guerra dei dazi, le divergenze su Ucraina, gli appetiti per le ricchezze del Paese: “Il tutto si ammanta come guerra santa”, mentre giornali e telegiornali riproducono con zelo una narrazione puramente retorica.
ActionAid ha consegnato un esposto alla magistratura contabile e un altro all’Anac per per presunte irregolarità nell’affidamento dell’appalto di gestione delle strutture

(di Franz Baraggino – ilfattoquotidiano.it) – Il flop dei centri in Albania si è trasformato in un potenziale danno erariale al vaglio dei magistrati contabili. ActionAid ha consegnato alla Corte dei Conti un esposto di sessanta pagine indirizzato alla procura regionale del Lazio, per denunciare quello che definisce “uno sperpero ingiustificabile di denaro pubblico” e che, dati alla mano, si sarebbe potuto limitare se non addirittura prevedere. L’obiettivo è far accertare se esistano i presupposti per un’azione erariale rispetto alle violazioni contestate nella gestione dei centri. Parallelamente, un’altra segnalazione è stata inviata all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) per presunte irregolarità nell’affidamento dell’appalto di gestione. La richiesta di intervento alla Corte dei Conti e all’ANAC è ritenuta “cruciale nel caso di persone formalmente in custodia dello Stato, ma concretamente in mano a società private e cooperative”.
I dati inediti sono pubblicati in un focus all’interno del progetto “Trattenuti” di ActionAid e Università di Bari. Che denuncino un quadro di spese fuori scala e organizzazione caotica fin dall’iniziale allestimento dei centri, partito con uno stanziamento di 39,2 milioni di euro, poi lievitati rapidamente a 65 milioni con il “Decreto PNRR 2”, trasferendo la competenza dai ministeri dell’Interno e della Giustizia alla Difesa. Per un impegno complessivo che è così salito a 73,48 milioni di euro. A fronte degli stanziamenti, la Farnesina ha pubblicato bandi per 82 milioni, firmato contratti per oltre 74 milioni – quasi tutti tramite affidamenti diretti – ed erogato più di 61 milioni per i soli allestimenti. Con una capienza reale di 400 posti a fine marzo 2025, il costo per singolo posto supera i 153.000 euro. Costo che ActionAid giudica del tutto ingiustificabile: “Oltre undici volte” il costo dell’allestimento di un posto nel Ctra di Modica (inaugurato nel 2023) a pieno regime, dove la spesa superava di poco ai 6.400 euro.
Il quadro peggiora guardando poi ai costi giornalieri. Nel Cpr di Gjader la spesa per detenuto è quasi tripla rispetto a un Cpr in Italia. Se a Macomer, in Sardegna, vitto e alloggio per il personale di polizia costano 5.884,80 euro al giorno, in Albania – per appena 120 ore di effettiva operatività tra ottobre e dicembre 2024 – la spesa è stata di 105.616 euro al giorno, quasi diciotto volte di più. Tutto questo mentre, alla fine del 2024, un quinto dei posti disponibili nei Cpr italiani risultava comunque vuoto. Non solo. Le stesse procedure che si voleva trasferire in Albania avevano già evidenziato ostacoli giuridici nazionali ed europei e risultati operativi fallimentari nei centri italiani: nessuna convalida per i trattenuti a Modica nel 2023, e appena 5 rimpatri su 166 persone transitate tra Modica e Porto Empedocle nel 2024, circa il 3%. Insomma, come sarebbe finita era ampiamente prevedibile.
Come non bastasse, le risorse risultano sottratte ad altri capitoli fondamentali: 15,8 milioni arrivano dal Fondo per esigenze indifferibili, previsto per le emergenze; 10 milioni dal Fondo straordinario della Difesa; 47,7 milioni da tagli ai bilanci di dodici ministeri. L’avvocato Antonello Ciervo, coordinatore del team legale di ActionAid, parla di “soldi pubblici sottratti alla salute, alla giustizia, al welfare e ai servizi, ma anche ai fondi per la gestione delle emergenze”, sottolineando come la distorsione nell’uso delle risorse sia aggravata dall’illegittimità del modello dei centri albanesi. Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per ActionAid, aggiunge che “l’ostinazione nel tenere in vita un progetto inumano, inefficace e giuridicamente inconsistente”, attraverso continui nuovi stanziamenti, spostamenti di competenze e cambi di regole, ha prodotto una perdita per l’erario che non può essere liquidata come un semplice errore tecnico. A confermare l’impatto del “passaggio aggiuntivo” rappresentato dalla detenzione off-shore è il dettaglio delle spese accessorie: il ministero della Difesa ha sostenuto oltre 2,6 milioni di euro tra manutenzione della nave Libra, trasferte e indennità di missione per Carabinieri e personale della Marina. Il ministero della Giustizia ha firmato contratti per quasi 2 milioni ed erogato 1,2 milioni, fino a maggio 2025, per il penitenziario di Gjader, una struttura mai utilizzata e mai completata. Anche il ministero della Salute ha autorizzato spese per quasi 4,8 milioni ed effettuato pagamenti per 1,2 milioni, nonostante gli uffici dell’Usmaf in Albania siano vuoti da marzo.
C’è poi la questione della trasparenza. “Scarsa”, secondo ActionAid, quella per l’affidamento dell’appalto di gestione da 133 milioni di euro. La cooperativa Medihospes si è aggiudicata la procedura – negoziata senza bando – dopo una manifestazione di interesse, risultando l’unica tra le tre cooperative selezionate dalla Prefettura di Roma a presentare un’offerta. La segnalazione ad ANAC rileva che non sarebbe stata neppure verificata la rilevanza internazionale dell’appalto, che al contrario avrebbe imposto una procedura più aperta. A oltre un anno e mezzo dall’aggiudicazione, poi, non è stato ancora stipulato alcun contratto, e gli unici documenti emessi per consentire la partenza dei lavori sono i due verbali di esecuzione anticipata in urgenza. Il report “Trattenuti” avverte anche del rischio di “cattura istituzionale”, “cioè che le scelte pubbliche finiscano per dipendere troppo da un solo operatore, che risulta quindi necessario coinvolgere”, si legge. Secondo il rapporto, la Prefettura di Roma ha finito per dipendere in modo strutturale da Medihospes, che ha concentrato quote altissime della gestione dei centri di accoglienza straordinaria (Cas) di Roma e mantenuto la posizione dominante “nonostante sanzioni e infrazioni documentate” e continuando a ottenere incarichi e ad ampliarsi, fino a risultare l’unica partecipante alla gara per l’operazione albanese. Dinamica che, si legge, ha ridotto quasi a zero la concorrenza, espellendo di fatto le piccole cooperative sociali incapaci di reggere i volumi e i ribassi economici richiesti.

(ANSA) – MOSCA, 02 DIC – “La Russia non ha intenzione di combattere con l’Europa, ma se l’Europa inizierà, saremo subito pronti”. Lo ha detto il presidente Vladimir Putin, citato dall’agenzia Ria Novosti.
Slitta decreto per prorogare cessione di armi all’Ucraina
(ANSA) – ROMA, 02 DIC – Slitta il decreto legge per prorogare l’autorizzazione a cedere mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari all’Ucraina. Il provvedimento era fra i 18 all’ordine del giorno della convocazione – inviata ai ministeri questa mattina – della riunione tecnica preparatoria prevista per domani, alla vigilia del Consiglio dei ministri.
Da poco è stata inviata una convocazione aggiornata, con solo 17 provvedimenti in esame, e senza quel decreto. Secondo quanto spiegano fonti di governo, l’ordine del giorno era già molto carico di questioni urgenti e, poiché l’autorizzazione alla cessione di armi a Kiev scade a fine mese si è deciso di rinviare il decreto.
Media, Mogherini fermata in indagine su Seae

(ANSA) – BRUXELLES, 02 DIC – Federica Mogherini, l’ex Alta rappresentante dell’Ue e attuale rettrice del Collegio d’Europa è tra le persone fermate nell’ambito dell’indagine che ha visto scattare questa mattina delle perquisizioni al Servizio per l’azione esterna dell’Ue (Seae) e il Collegio d’Europa a Bruges. Lo riporta Le Soir.
Ue: media, in stato di fermo anche Stefano Sannino
(AGI) -Oltre a Federica Mogherini risulta in stato di fermo per l’indagine su frode in appalti pubblici anche Stefano Sannino, ex segretario generale del Servizio europeo di azione esterna e attuale direttore generale della Dg Mediterraneo della Commissione europea. Lo riporta il quotidiano belga Le Soir. La terza persona fermata sarebbe un manager del Collegio d’Europa.
Perquisizioni a servizio diplomatico Ue a Bruxelles, 3 fermi
(ANSA) – BRUXELLES, 02 DIC – La polizia federale belga ha effettuato perquisizioni nella sede del Servizio europeo per l’azione esterna (Eeas) a Bruxelles, al Collegio d’Europa di Bruges e in alcune abitazioni private nell’ambito di un’inchiesta su un presunto uso improprio di fondi Ue. Lo riportano fonti vicine all’indagine citate da Euractiv.
Le operazioni sono scattate all’alba, con il sequestro di documenti e tre fermi per interrogatori con l’ipotesi di frode negli appalti pubblici, corruzione e conflitto di interessi di natura penale. Secondo un testimone, una decina di agenti in borghese sono entrati nella sede dell’Eeas intorno alle 7:30.
L’inchiesta riguarda il presunto utilizzo irregolare di fondi Ue da parte dell’EEAS e del Collegio d’Europa nel 2021 e 2022, incluso l’appalto per finanziare la nuova Accademia diplomatica europea, un programma annuale di formazione per diplomatici finanziato dal Servizio diplomatico Ue e ospitato a Bruges. Gli investigatori stanno verificando se il Collegio d’Europa o suoi rappresentanti avessero avuto accesso anticipato a informazioni riservate sulla gara d’appalto.
Il fascicolo si concentra anche sull’acquisto da 3,2 milioni di euro di un edificio a Bruges nel 2022 da parte del Collegio — struttura destinata a ospitare i partecipanti dell’Accademia — poco prima che l’Eeas bandisse una gara successivamente aggiudicata al Collegio per 654.000 euro di finanziamento. All’operazione ha preso parte anche l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf), sotto il coordinamento della Procura europea (Eppo).
La vicenda accresce la pressione sul Collegio d’Europa e sulla sua rettrice Federica Mogherini, già Alto rappresentante Ue per la politica estera, oggi anche direttrice della nuova Accademia diplomatica.
ESCLUSIVA: LA POLIZIA FA IRRUZIONE AL SERVIZIO PER L’AZIONE ESTERNA DELL’UE E AL COLLEGIO D’EUROPA IN UN’INDAGINE SU UNA FRODE DI VASTA PORTATA
(Eddy Wax e Elisa Braun – euractiv.com) – La polizia belga ha perquisito martedì il servizio diplomatico dell’UE a Bruxelles, insieme al Collegio d’Europa a Bruges e abitazioni private, nell’ambito di un’indagine su presunto uso improprio di fondi dell’UE, secondo persone a conoscenza dell’inchiesta e testimoni.
Le perquisizioni si sono svolte in tutto il Belgio nelle prime ore del mattino, con la polizia che ha sequestrato documenti e arrestato tre persone per interrogarle con il sospetto di frode negli appalti, corruzione e conflitto di interessi di natura penale.
Circa dieci agenti in borghese sono entrati nella sede del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE / EEAS) alle 7:30 di martedì, ha detto un testimone. Un altro funzionario dell’UE del servizio diplomatico ha confermato la perquisizione.
L’indagine è scaturita dalle accuse secondo cui il SEAE e il Collegio d’Europa — la prestigiosa scuola post-laurea di formazione per eurocrati — avrebbero usato impropriamente denaro pubblico dell’UE nel 2021 e 2022, secondo quattro persone a conoscenza dell’inchiesta.
Gli investigatori stanno esaminando se il Collegio d’Europa o i suoi rappresentanti avessero conoscenza anticipata di un appalto pubblico per finanziare la nuova Accademia diplomatica dell’UE, un programma annuale di formazione per diplomatici europei a Bruges finanziato dal SEAE.
[…] Gli investigatori si sono concentrati sulle circostanze che circondano l’acquisto da parte del Collegio di un edificio in Spanjaardstraat a Bruges, del valore di 3,2 milioni di euro, che ospita i diplomatici che frequentano l’accademia, secondo le quattro persone informate sui fatti. Il bando per ospitare l’accademia richiedeva ai candidati di fornire alloggi.
Il Collegio d’Europa ha acquistato l’edificio nel 2022 durante un periodo di difficoltà finanziarie e poco prima che il SEAE pubblicasse un bando che successivamente ha assegnato all’istituzione un finanziamento di 654.000 euro, hanno detto due persone informate sull’inchiesta.
Gli investigatori hanno esaminato le accuse secondo cui il Collegio d’Europa e i suoi rappresentanti avrebbero avuto accesso a informazioni riservate sull’appalto, che avrebbero dovuto rimanere confidenziali per garantire una concorrenza equa tra le istituzioni candidate a ospitare la nuova accademia.
Il Collegio d’Europa e la nuova Accademia diplomatica dell’UE sono entrambi guidati da Mogherini, l’ex ministra degli Esteri italiana socialista, che ha guidato il SEAE come Alto rappresentante per gli affari esteri tra il 2014 e il 2019. È diventata rettrice del Collegio nel 2020 e direttrice dell’accademia al suo lancio nel 2022.
Durante il periodo sotto esame, il SEAE era guidato da un altro ex ministro degli Esteri socialista, lo spagnolo Josep Borrell.
Un portavoce di Borrell non era immediatamente disponibile per un commento.
Un portavoce del Collegio d’Europa ha rifiutato di commentare. Un portavoce del SEAE ha detto di non avere informazioni.
La Procura federale del Belgio nelle Fiandre non ha risposto immediatamente.
Il Ministero del Turismo riconosce il Cammino Medievale
Percorso ad anello di 160 km da Isernia a Isernia per l’alto Molise

Il turismo lento è una risorsa vitale per il Molise. Il Ministero del Turismo ha riconosciuto la valenza del Cammino Medievale, un cammino giovane, ma dal cuore antico attraversando 18 borghi dove sono presenti testimonianze che affondano le radici nella notte dei tempi. Il filo conduttore, naturalmente è il Medioevo, un periodo in cui tante piccole realtà iniziarono a forgiarsi e diventare dei centri di aggregazione. Un’anima che è tuttora visibile passo dopo passo.
Il Ministero del Turismo, in considerazione della sua valenza ed importanza, non solo lo ha riconosciuto, ma anche inserito a buon diritto nel Catalogo dei Cammini Religiosi Italiani. Questo perché il Cammino Medievale racchiude in sé storia e anche religiosità. Non a caso, si possono vedere da vicino e visitare luoghi intrisi di intensa sacralità, come il suggestivo Eremo di San Luca, tra Capracotta e Poscopennataro e poi ancora: il Santuario Santa Maria di Loreto di Capracotta, la Grotta di San Michele a Sant’Angelo in Grotte, la Chiesa di Maiella di Agnone, la Chiesa di San Michele a Sant’Elena Sannita, la Cattedrale di Isernia e tanto altro ancora.
“È per noi motivo di grande soddisfazione che il Ministero abbia attestato il valore di questo Cammino che noi stessi, con massima attenzione, studio e passione abbiamo tracciato e scritto una minuziosa guida cartacea – sottolineano i suoi autori e responsabili, i giornalisti Fosca Colli, anche Consigliere Comunale a Sant’Elena Sannita, e Marco Baroni, marito e moglie da oltre trent’anni -. Una doppia soddisfazione, visto che 3 anni fa un’altra nostra creatura, il Cammino di Sant’Elena (in 3 tappe in Alto Molise, da Sant’Elena Sannita ad Agnone) era stato riconosciuto dal Ministero del Turismo, primo in assoluto in Molise”.
Il Cammino Medievale, come poc’anzi ricordato, è giovane essendo stato avviato nel luglio scorso, ma già sta riscuotendo il forte interesse degli amanti del turismo lento. C’è chi lo ha già percorso e tanti sono già coloro – di ogni parte d’Italia – che stanno chiedendo informazioni per farlo a partire dalla primavera del 2026, tenendo conto che, essendo un itinerario montano soggetto anche a forti nevicate (si fa tappa anche a Capracotta e si passa per Prato Gentile, tra l’altro) potrebbe essere problematico per chi va a piedi o anche in bicicletta. Il Cammino Medievale si può fare liberamente in completa autonomia quando si preferisce. Si articola in 8 tappe ed è un percorso ad anello di 160 km che parte da Isernia per poi tornare a Isernia.
Le 8 tappe che, partendo da Isernia, sono: Carovilli, Capracotta, Agnone, Pietrabbondante, Civitanova del Sannio, Sant’Elena Sannita, Sant’Angelo in Grotte e ritorno a Isernia. Si passa anche per altri 11 borghi che sono Miranda, Vastogirardi, Pescopennataro, Castelverrino, Chiauci, Duronia, Cerreto (frazione di Frosolone), Macchiagodena, Castelpetroso, Carpinone e Pesche.
Sul sito web www.camminomedievale.altervista.org ci sono tutte le informazioni di contatto e di base sul Cammino stesso comprese quelle sulla Guida e sulla Credenziale.
UFFICIO STAMPA

(Andrea Zhok) – Oggi è stata ufficializzata la notizia della presa di Pokrovsk da parte dell’esercito russo e simultaneamente la conquista di Volchansk.
Nell’ultimo mese l’esercito russo ha conquistato 505 kmq di territorio, che per un paese grande come l’Ucraina è ancora poco, ma che segnala una chiara progressione rispetto al periodo precedente.
L’onnipresenza dei droni rende le rapide avanzate con carri armati ed autoblindi impossibili, ma questo rende anche le conquiste fatte più resistenti ad eventuali contrattacchi.
I segnali di un declino delle capacità operative ucraine al fronte sono evidenti, e tuttavia i segni di una fine rapida del conflitto sono controversi.
Dal fronte alcuni comandanti ucraini hanno inviato a Zelenski la comunicazione che, in caso di sua firma di un accordo che comporti il ritiro dal Donbass, essi non obbediranno.
Naturalmente in una guerra moderna questo è più un gesto che un’effettiva prospettiva di resistenza ad oltranza: se dovessero venir meno, per decisione centrale, i rifornimenti, il fronte collasserebbe in poche settimane.
Così come collasserebbe se gli USA ritirassero, come hanno minacciato di fare a più riprese, la fornitura di informazioni satellitari e di intelligence.
Dunque, alla fine, al netto degli elementi nazionalisti più radicali presenti nelle forze armate ucraine, la decisione se continuare la guerra o accettare una sconfitta ancora onorevole sta ancora tutta nel decisore politico.
Tutto lascia pensare che il conflitto russo-ucraino sia alle battute finali; plausibilmente tra primavera ed estate ne vedremo la conclusione formale.
Ma questa conclusione, e questo è il grande problema che avremo da affrontare, non sarà davvero una chiusura.
Ciò che ci si prospetta è l’alleanza strutturale di lungo periodo tra il residuo di forze armate radicalizzate ucraine e il bellicismo europeo.
In Ucraina gli elementi nazionalisti radicalizzati prenderanno qualunque trattato di pace come la loro versione della leggenda della “pugnalata alla schiena” (Dolchstosslegende) che animò i reduci tedeschi dopo la Prima Guerra Mondiale. La narrazione che la guerra non venne perduta sul campo, ma per il tradimento della politica nelle retrovie, fu all’origine di quei movimenti paramilitari nella Germania degli anni venti che confluirono nelle Sturm Abteilungen e nutrirono l’ascesa del partito nazista.
Al tempo stesso, le dirigenze europee, se da un lato sanno di non essere in grado realisticamente di affrontare un confronto bellico diretto con Mosca, non possono considerare la pace come un’opzione. Vale per le von der Leyen e le Kallas il “Finché c’è guerra c’è speranza”, come titolava un celebre film di Alberto Sordi. Finché rimane in vita la demenziale narrativa “c’è-un-aggressore-e-un-aggredito-non-avevamo-scelta” tutta la catastrofica condotta delle classi dirigenti europee può evitare di giungere ad un redde rationem.
Per questo motivo la prospettiva che ci attende è quella di una guerra ibrida permanente, in cui i paramilitari ucraini forniranno parte della manovalanza, e l’Europa fornirà i mezzi tecnologici ed economici. Dunque sabotaggi, atti terroristici, guerra informatica, ecc., tutti atti soggetti alla “plausible deniability”, tutti eventi spesso indistinguibili da accidentali malfunzionamenti ordinari, che ci spingeranno in una temperie di guerra senza bombardamenti ma di lungo periodo. Ovviamente spero nessuno si illuda che sarà solo l’Europa a tagliuzzare la Russia attraverso l’Ucraina, restandosene in sicurezza senza subire risposte.
Questo sarà, temo, il punto di caduta naturale della presente situazione, con una spinta ulteriore al sequestro di risorse pubbliche per finanziare le industrie parabelliche degli amici degli amici, e con un’ulteriore compressione di tutte le residue libertà di parole, pensiero ed espressione sul suolo europeo.
La minaccia russa diventerà un ritornello permanente, e nel nome delle supreme istanze della difesa il sogno bagnato del neoliberalismo si realizzerà nella sua purezza: una società di schiavi, militarizzati nella mente e nel portafoglio, a beneficio dei nuovi feudatari della finanza.
La storia non è mai scritta, ma possiede tendenze inerziali.
Se non ci si oppone frontalmente, queste tendenze nel prossimo futuro ci saranno fatali.

(di Antonio Pitoni – lanotiziagiornale.it) – Mentre a Miami, la delegazione di Zelensky discute con gli americani la delicata questione dei confini, punto chiave e tra i più controversi della trattativa di pace, sembra ormai evidente a tutti che non sia più il se, quanto piuttosto il quando, la vera incognita che separa il governo di Kiev dalla firma del Piano di Trump. In altre parole, dalla resa dell’Ucraina – e dalla disfatta dell’Europa e della Nato – alla Russia.
Non c’è da sorprendersi, d’altra parte, se i sedicenti leader Ue, con i vertici del Patto atlantico (esclusi gli Usa), stiano cercando in tutti i modi di gettare benzina sul fuoco. Finché c’è guerra, per loro, c’è ancora speranza. Sempre meglio che giustificare ai propri elettori la fallimentare scommessa sulla vittoria dell’Ucraina oltre al folle – e già impopolare – piano di riarmo che, se scoppiasse davvero la pace, non saprebbero più come giustificare. Ieri, per dire, è toccato al capo di Stato maggiore italiano, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, in veste di presidente del Comitato militare della Nato, tenere alta la tensione. “Stiamo studiando tutto sul fronte informatico, siamo in un certo senso reattivi – ha detto, intervistato dal Financial Times. Essere più aggressivi o proattivi invece che reattivi è qualcosa a cui stiamo pensando”. Usando espressioni come “attacco preventivo” che potrebbe però essere considerato “un’azione difensiva”.
Un ossimoro che non è sfuggito al Cremlino: “Riteniamo che la dichiarazione di Cavo Dragone sui potenziali attacchi preventivi contro la Russia sia un passo estremamente irresponsabile, che dimostra la volontà dell’alleanza di continuare a muoversi verso un’escalation”. Insomma, l’ennesimo tentativo di sabotare i negoziati di pace in corso. Ma derubricato come “una questione che deve seguire la Nato” e che “non tocca a noi”, dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. Ma sarebbe appena il caso di ricordargli che, accettando il suo ruolo di governo, ha giurato sulla Costituzione italiana e non sul Trattato dell’Alleanza Atlantica.
La stessa Costituzione che, all’articolo 11, stabilisce che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa e di risoluzione delle controversie internazionali”. Dovrebbe saperlo da solo. Ma con il ministro del diritto internazionale che “conta fino a un certo punto” repetita iuvant.
Dalla magistratura all’università: gli attacchi del Governo Meloni e la sorveglianza come nuovo strumento di controllo

(Davide Mattiello – ilfattoquotidiano.it) – C’è un filo che lega gli attacchi alla magistratura, i più recenti di nuovo a Federico Cafiero De Raho e a Roberto Scarpinato, quelli alla Università di Bologna col pubblicizzato potenziamento della scorta a Sigfrido Ranucci: il “nuovo” patto sociale promosso dalla destra di potere, ovvero il pieno controllo nelle mani del Governo in cambio della sicurezza prodotta dalla sorveglianza.
Sono lontani i tempi del Papeete: Matteo Salvini nell’estate del 2019, in groppa alla sua “bestia” da milioni di contatti, sbagliò tempi, modi, sponsor e finì disarcionato. Ma fu precursore e gli andò senz’altro meglio che al Battista.
Oggi la situazione è più matura, resa convincente e vincente (per ora) da un contesto internazionale che spinge per la liquidazione dello stato di diritto, per il collasso della Unione Europea, malfermo presidio di democrazia ma pur sempre presidio, per l’annichilimento delle Nazioni Unite basate sui diritti umani fondamentali: tutti attrezzi mai digeriti da una parte importante di umanità e corrosi dall’ipocrita sostegno di altra parte.
Oggi viviamo uno di quei tornanti in cui la storia accelera improvvisamente, quando in un solo momento i freni saltano, le titubanze diventano appuntamenti imperdibili col destino, le parole sussurrate in segreto vengono gridate sui tetti e diventano osceni manifesti (“omicidi extragiudiziali” si può dire e fare, “genocidio” invece si può fare ma non dire).
Così tutto si tiene nel cortile di casa nostra che non è mai stato soltanto “nostro”: il “riequilibrio tra i poteri” invocato dalla presidente Meloni passa per la subalternità della magistratura all’esecutivo, il premierato forte, una legge elettorale funzionale alla “stabilità” mantra buono per ogni scorribanda istituzionale e la mortificazione della scuola in ogni ordine e grado, dagli accorpamenti degradanti alla umiliazione della autonomia didattica.
Il primo tassello deve essere fissato attraverso il referendum di primavera che dovrà confermare, nelle intenzioni del Governo, la “riforma Nordio” ed ecco che allora il circo grande delle reti unificate spara senza sosta contro i magistrati trasformati in mostri dell’arbitrio giudiziario: c’è quello che sabota le politiche del Governo in tema di immigrazione, quello che “ruba” i figli dalle case nei boschi, quello che si vende la funzione anche davanti ad un terribile femminicidio, fino ad arrivare ai “mostri” preferiti perché ingabbiarli serve a più di un prestigio e cioè Federico Cafiero De Raho, accusato di aver coperto l’immondo mercato delle informazioni riservate nella Procura nazionale antimafia da lui diretta e Roberto Scarpinato, accusato di aver perseguitato una giovane ed intrepida magistrata rea di aver indagato nella direzione “sbagliata” (Scarpinato ha già annunciato querela).
Un altro tassello poi è stato piantato negli scorsi giorni con la iperbolica polemica contro l’Università di Bologna che avrebbe addirittura “tradito”, secondo le reazioni da manuale dei primi della classe Meloni-Crosetto-Bernini, coloro che sacrificando le proprie vite difendono anche quegli imbelli di docenti, che hanno negato un corso ad hoc in filosofia per una pattuglia di ufficiali. Ingrati!
Sono attacchi mirati che offendono la democrazia tanto quanto quelli ai giornalisti, colpiti nell’esercizio della professione in maniera più pericolosa di quanto abbiano fatto gli sciagurati assaltatori della sede de La Stampa a Torino: chi ha illegalmente spiato Francesco Cancellato e Ciro Pellegrino con strumenti di natura militare in dotazione al Governo italiano? Chi e perché ha pedinato Sigfrido Ranucci e altri suoi collaboratori di Report?
E mentre chili di “carte riservate” passano nelle cucine della Commissione parlamentare antimafia e del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza, pronti a diventare relazioni e veline, il Viminale annuncia l’innalzamento del livello di sicurezza per Sigfrido Ranucci, che passa da una a due macchine blindate. Con un messaggio chiaro: state alla larga da Ranucci! (Fonti comprese, vien da pensare).
Qualche giorno fa a Bologna si sono dati appuntamento per un convegno molti famigliari di vittime delle stragi di mafia e di terrorismo, pare che non abbiano nemmeno più distinto tra coloro che sono caduti per colpa della “strategia della tensione” e coloro che invece sono caduti per colpa delle bombe “mafiose” degli anni ‘90 (che della “strategia della tensione” hanno rappresentato una sorta di tragico Tfr: trattamento di fine rapporto). Lo hanno fatto per ribadire l’universale diritto alla verità.
Mi associo, convinto che la sicurezza alla quale ognuno di noi giustamente ambisce dipenda assai di più dalla “verità” cioè dalla lotta alla impunità, piuttosto che dalla sorveglianza occhiuta di chi, proteggendo, controlla e inibisce.
Mi auguro fortemente che l’Università di Bologna La quereli per le Sue dichiarazioni false e infamanti

(Massimo Ferri, Professore, Università di Bologna – ilfattoquotidiano.it) – Non volevo credere a quanto riportato dal Fatto Quotidiano, perciò sono andato direttamente alla Sua pagina Facebook, Ministro Piantedosi, per controllare. Ebbene sì, Lei scrive: “Una decisione incomprensibile quella di alcuni professori dell’Università di Bologna che hanno negato a un gruppo selezionato di 15 giovani Ufficiali dell’Esercito dell’Accademia di Modena la possibilità di frequentare un corso di laurea in Filosofia, nel timore di una presunta ‘militarizzazione dell’Ateneo’.”
E ancora: “Infine, a questi professori e ai sostenitori di tale scelta voglio ricordare che gli Ufficiali a cui è stato negato il diritto allo studio hanno giurato sulla Costituzione […]”.

Ma scherziamo? “Negata la possibilità di frequentare un corso di laurea in Filosofia”? “Negato il diritto allo studio”? Vede, Ministro Piantedosi, la Presidente del Consiglio sta (quasi) sempre molto attenta nel dosare le parole. L’ha fatto anche questa volta, dicendo chiaramente quello che è successo (la mancata istituzione di un Corso di Laurea ad hoc) e commentandolo dal suo punto di vista.
Come tutti i politici di destra, sinistra e centro di ogni tempo, l’On. Meloni è un’artista nel dichiarare la parte di verità che torna utile alle sue tesi; come tutti i politici intelligenti, riesce perciò a plasmare la realtà a suo vantaggio, senza dire vere e proprie bugie.
Quello che Lei ha scritto, e che ognuno può verificare di persona, è una scandalosa bugia, pura e semplice. Non sono sempre d’accordo con la gestione dell’Ateneo di Bologna, di cui mi onoro ancora di far parte; proprio negli ultimi tempi, certe decisioni mi hanno fortemente contrariato. D’altra parte capisco le remore, da parte del Dipartimento interessato, a istituire un Corso di Laurea su misura per una ristrettissima classe di cittadini. Tutte cose di cui si può discutere. Ma a nessuno viene negata la possibilità di frequentare un corso di laurea, a nessuno è negato il diritto allo studio.
Mi auguro fortemente che l’Università di Bologna La quereli per le Sue dichiarazioni false e infamanti. Come Ufficiale di complemento in congedo, fiero di esserlo, e come Professore dell’Alma Mater, fiero di esserlo, mi vergogno di Lei.

(Tommaso Merlo) – La tragicomica banda della Nato non sa vincere e neanche perdere, in guerra le condizioni le impongono i vincitori e cioè Putin. Quello che la Russia vuole in Ucraina si sa, ma la partita potrebbe essere più ampia e per questo Putin sta ancora trattando con gli americani. La Russia da sola ha demilitarizzato la Nato che oggi non ha né armi né eserciti per contrastarla. Un momento favorevole e da sfruttare prima che si riarmi. Gli unici che potrebbero dare dei grattacapi ai russi oggi sono gli americani che però hanno la Cina nel mirino e nessun interesse a rischiare la scontro nucleare per la palta ucraina. È vero che a Washington persistono sacche di russofobi che stanno sabotando Trump, ma oltre al mandare soldi ed armi a Kiev non vogliono spingersi neanche loro. A Putin non conviene fermarsi quindi, i barboncini europei sfrutterebbero il cessate il fuoco per riorganizzarsi e rilanciare. Piuttosto che ammettere la sconfitta sono disposti a sacrificare quel poco che rimane dell’Ucraina. La poltrona prima di tutto, anche della vita altrui. Alla Russia conviene conquistare gli ultimi brandelli di oblast rimasti ed imporre a Kiev la neutralità militare e poi passare alla firma delle scartoffie. Anche il mega scandalo di corruzione della banda Zelensky, gioca a favore di Putin che vuole giustamente un cambio di regime. A Kiev serve un governo in grado non solo di accettare la sconfitta militare ma anche quella politica e riallacciare relazioni sane col vicino russo. Ed è quello che vuole anche la maggioranza degli ucraini superstiti. Ma c’è di più. Se Putin ancora tratta con gli americani, è perché vorrebbe sfruttare Trump per uscire dall’isolamento, del resto un presidente americano non russofobo è una rarità. Non è che Putin ne abbia bisogno, con Cina ed India e gli altri Brics la luna di miele è solo all’inizio, ma normalizzare relazioni diplomatiche e commerciali con gli USA sarebbe comunque un traguardo storico e vantaggioso, dividerebbe poi ulteriormente il fronte occidentale ed umilierebbe ulteriormente quello che per la Russia è il nemico più efferato, quegli stramaledetti barboncini europei intossicati di delirante bellicismo russofobo. Una situazione non rosea per noi poveri cristi del vecchio continente. Se non reagiamo, la lobby della guerra o meglio della morte, ci trascinerà dritti verso la terza guerra mondiale. Siamo in balia di quel baraccone della Nato fondato per difenderci e finito per dissanguarci e trascinarci in guerre ridicole e perdenti una dopo l’altra. Coi governi nazionali ridotti a bancomat per produrre armamenti e a breve reclutatori di carne da macello. Stanno trasformando il mondo in un sanguinario videogioco e ormai questioni come la guerra e quindi di vita e di morte per i popoli, vengono decise da verminai lobbistici dietro le quinte e dai loro burattini politici e tecnocratici. La poltrona prima di tutto, anche della volontà popolare. Siamo sempre più vecchi, sempre più poveri, sempre di meno, mollati dagli americani e in guerra col nostro storico vicino russo, nonché fonte energetica primaria. Senza una visione né politica, né economica, in balia di una politica ridotta a poltronificio fine a se stesso. A marketing elettorale di vuoto esistenziale. Una situazione davvero poco rosea, al punto che quello che conviene a Putin conviene anche a noi. La storica e clamorosa sconfitta militare della Nato in Ucraina, potrebbe causare un terremoto istituzionale a Bruxelles di tale magnitudo da far crollare quell’insulso baraccone tecnocratico, e alimentare uno sdegno popolare tale da alimentare una svolta politica epocale in tutto il continente. Cestinando depravazioni lobbistiche e belliciste per ritrovare la strada della vera democrazia, della vera sovranità popolare e dalla pace bene assoluto che nessun politicante poltronaro si deve permettere di intaccare. Già, la speranza è che vinca Putin e puri in maniera netta e rapida in modo da girare pagina per sempre. Se invece non sarà così e prevarrà il sistema, la lobby della guerra o meglio della morte ed i suoi burattini, ci trascinerà dritti verso la terza guerra mondiale.